Il mio impegno per una società più equa
di Paolo Bulgari

Molti non lo sanno ma all’origine del mio cognome c’è una storia di migrazione. Nella seconda metà dell’Ottocento mio nonno Sotirios Boulgaris decise di lasciare il piccolo villaggio dell’Epiro dove era nato, un paesino noto per la lavorazione dell’argento, per cercare fortuna in Italia. Ma a differenza di tanti migranti di oggi doveva avere qualche soldo in tasca se è vero che riuscì ad avviare un lavoro a Napoli e in seguito, una volta trasferitosi a Roma pare dopo un furto, ad aprire una piccola bottega in via Sistina.
Sotirios era un abile argentiere, una persona molto caparbia, con il fiuto per gli affari, e aveva due figli in gamba che lo aiutarono a far crescere l’azienda. Mio padre Giorgio e mio zio Costantino erano grandi viaggiatori come tutti i greci, e avevano un approccio al lavoro internazionale, tanto che già nel 1920 avevano aperto un negozio a Saint Moritz.
Forse anche in virtù delle nostre origini, nel DNA familiare c’è sempre stata l’attenzione nei confronti del prossimo. Mia madre nel corso della sua vita si è occupata più degli altri che dei suoi figli. Era una persona molto devota, sempre coinvolta in tutta una serie di iniziative con la mentalità, i mezzi e il linguaggio dell’epoca, quando chi aiutava gli altri faceva ‘beneficienza’: negli anni Cinquanta si occupò a lungo dei profughi giuliani che avevano abbandonato in massa l’Istria e vivevano nei campi; ogni anno organizzava una vendita a casa nostra per raccogliere fondi a sostegno delle opere di carità dei vincenziani, e tutti noi ragazzini eravamo chiamati a dare una mano.
Anche mio padre fu molto generoso, a suo modo. Greco e antifascista convinto, cultore della democrazia e dell’educazione anglosassone, durante la guerra diede asilo a un sacco di gente nella nostra casa di Via Paisiello, a Roma. In quegli anni ospitammo clandestinamente antifascisti, liberali, prigionieri greci che scappavano dai campi di concentramento, e con il senno di poi appare davvero incredibile il rischio a cui ci espose. Era un’epoca nella quale per restare integri serviva tanto coraggio e tanta incoscienza.
Io ho cominciato a lavorare giovanissimo con mio padre e nella vita ho ricoperto ogni sorta di incarico all’interno dell’azienda di famiglia, dall’acquisto delle materie prime al lavoro al banchetto, al disegno che è stato la mia grande passione e che mi ha portato a dirigere per tantissimi anni tutta la parte creativa di Bulgari fino al 2011, quando abbiamo venduto. In questi decenni ho cercato di aiutare anch’io in tante direzioni diverse, ma nel 2019, insieme a mia moglie, ho deciso di creare una Fondazione per occuparmi in maniera più strutturata e concreta dei problemi che più mi preoccupano, la crescita delle diseguaglianze e la questione giovanile. Da capitalista quale sono, ho sempre sostenuto l’importanza e l’urgenza di mettere regole più stringenti al capitalismo, per creare una società più equa. Invece la politica degli ultimi decenni ha preferito voltarsi dall’altra parte e in questo modo la forbice tra ricchi e poveri ha continuato a crescere, fino a diventare davvero insostenibile.
La Fondazione si occuperà in particolare di contrastare le povertà educative perché, come sostengo da tempo, gran parte dei nostri problemi vengono dalla scarsa attenzione che abbiamo dimostrato in questi anni nei confronti della scuola, e perché è nella scuola che si pongono le basi per una società più giusta.
Quando mi volto indietro ricordo con rimpianto il cattivo rapporto che ho avuto con la scuola. Di me posso dire di non essere stato certamente un alunno modello… ma erano altri tempi, avevo una famiglia solida alle spalle e in fondo me lo potevo permettere. Per i bambini e i ragazzi che crescono nei quartieri difficili la scuola invece è spesso l’unica possibilità di conoscere, acquisire competenze, emergere, costruirsi un futuro. Eppure proprio questi ragazzi, ai quali dovremmo dare di più, si trovano costretti a crescere in quartieri che offrono molto meno in termini di servizi, attività ricreative e culturali, e in scuole spesso non adeguatamente attrezzate per reggere l’urto della sfida educativa.
Con umiltà e consapevolezza della vastità dell’impegno, il lavoro della Fondazione comincerà da qui… Dalle scuole che operano nei quartieri sensibili di Roma, la città dove sono nato e cresciuto, che mi ha dato tanto e verso la quale provo ogni giorno un grande debito di gratitudine.
Mission
Contro le diseguaglianze, per i diritti e la coesione sociale
La Fondazione si impegna nella promozione del contrasto alle diseguaglianze e alle povertà educative, del sostegno all’infanzia e all’occupazione giovanile nei quartieri sensibili. I destinatari delle attività sono persone in condizione di svantaggio economico, sociale e educativo, e le associazioni che svolgono attività analoghe in ambito nazionale e internazionale. Collabora con scuole, università, istituti, fondazioni, associazioni, e con tutti coloro che, nei più svariati campi della vita culturale, educativa e sociale, perseguono finalità coincidenti con gli scopi e le finalità della Fondazione.

Parole che fondano
Sono uno dei beni più preziosi di cui disponiamo, se non altro perché ci rendono uguali, come hanno insegnato Don Milani e Tullio De Mauro. D’altra parte, diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa, “parlare male significa pensare male”. Noi per primi, se vogliamo realizzare progetti destinati a durare, dobbiamo cercare le parole giuste per pensare bene i nostri interventi. Per questa ragione abbiamo pensato di approfondire, con l’aiuto della letteratura scientifica e di chi lavora sul campo, le parole che guidano l’azione della Fondazione. Tutte insieme vanno a comporre una piccola ‘cassetta degli attrezzi’, un glossario essenziale, che continueremo ad arricchire, ad aggiornare, a precisare, strada facendo.
Scuola
“Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e quello umano – ha scritto Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti – si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che hanno la funzione di creare il sangue”. Perché affermando il diritto di tutti, anche se privi di mezzi, a raggiungere i gradi più alti degli studi, ha il compito di favorire il ricambio sociale e di rimettere in circolo l’energia vitale del Paese. Per questa ragione l’Articolo 34 della Costituzione, dedicato alla scuola pubblica, è il più importante di tutti, ricordava Calamandrei. Come dargli torto?
Comunità Educante
In Africa si dice che per educare un bambino serve un intero villaggio. Per dire quasi la stessa cosa utiliz- ziamo l’espressione Comunità Educante, a indicare l’importanza strategica di quegli attori che esercitano un fondamentale ruolo educativo sul territorio. Rinforzare le alleanze sui territori attraverso la promozione di patti educativi e la progettazione di percorsi di collaborazione tra insegnanti, educatori, psicologi, famiglie, è una strategia fondamentale per sostenere la scuola nei quartieri difficili.
Inclusione
Le indagini compiute in questi anni ci dicono che nei territori più fragili si concentrano spesso modelli di scuola impoveriti, con meno laboratori, meno didattica innovativa, meno docenti stabili. Per garantire una scuola più inclusiva, rispettosa dell’articolo 34 della Costituzione, bisognerebbe fare l’esatto contrario, dando di più a chi ha di meno. Allo stesso tempo, per riuscire nel suo intento, una scuola democratica deve differenziare l’offerta formativa, personalizzare i percorsi, promuovere didattiche attive, favorire un buon clima scolastico, mettere al centro il benessere degli alunni.
Ascolto
Qualsiasi intervento di sviluppo deve partire dall’ascolto dei bisogni e delle risorse sul tappeto. Nel contesto educativo bisogna sviluppare un udito speciale per mobilitare la partecipazione dei bambini, ma il discorso può essere esteso a qualsiasi categoria anagrafica o sociale: ascoltare per- mette di riconoscere nei soggetti che si vogliono sostenere delle risorse preziose. Non beneficiari da proteggere e assistere, ma uomini, donne, portatori di conoscenze, buone idee, soluzioni.
Partecipazione
Una scuola aperta oltre l’orario scolastico e partecipata anche dal territorio, può diventare presidio, luogo di aggregazione, collaborazione, centro di educazione permanente e di costruzione condivisa di percorsi di cittadinanza. La partecipazione attiva e consapevole degli abitanti e degli attori del territorio ai percorsi di rigenerazione urbana è il prerequisito essenziale per garantire l’attivazione di processi di riqualificazione efficaci, capaci di rispondere a bisogni reali e di durare nel tempo. I progetti calati dall’alto hanno vita breve.
Riqualificazione
La pedagogia ci ricorda una cosa importante: lo spazio è il terzo educatore’ ovvero: la qualità dell’ambiente nel quale siamo immersi esercita un ruolo strategico nei processi di apprendimento. La bellezza di una scuola, la gradevolezza, l’organizzazione, la funzionalità degli spazi e delle attrezzature per lo studio, costituiscono un fondamentale dispositivo pedagogico. Allo stesso tempo, se si vuole che anche la città si faccia scuola, bisogna attrezzarla in modo da fare spazio ai processi educativi. Il verbo riqualificare deve essere sempre più coniugato al presente educativo.
Staff

Giulio Cederna
Mi occupo da venticinque anni di infanzia, periferie, immigrazione, ragazzi di strada, cooperazione. Ho collaborato con Legambiente, diretto a lungo la comunicazione di AMREF Italia, fondato l’Archivio delle Memorie Migranti, svolto missioni per la Cooperazione Italiana. Dal 2010 ho ideato e curato dieci edizioni dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children, Premio Andersen 2019, Protagonisti della cultura per l’infanzia. Esperto in comunicazione sociale, negli anni ho realizzato diversi documentari e progetti di video-partecipato. Nel 2003 ho ideato insieme a Marco Baliani il progetto teatrale Pinocchio Nero con i ragazzi di strada di Nairobi. Nel 2005 ho pubblicato Le avventure di un ragazzo di strada (Giunti) e nel 2007 ho collaborato all’enciclopedia Diritti Umani, curata da Marcello Flores (UTET). Nel novembre 2019 ho raccolto la sfida di aprire e dirigere il programma per Roma della Fondazione Paolo Bulgari.

Michela Diodato
Dopo la Laurea in Scienze Politiche presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, ho lavorato nel ruolo di coordinatrice di componente in decine di progetti nazionali e internazionali di capacity building, con particolare riferimento alla pianificazione strategica, all’analisi dei fabbisogni formativi e allo sviluppo di piani di formazione. Ho maturato un’esperienza ventennale, in Italia e all’estero, come formatrice sui temi della progettazione partecipata e della formazione formatori oltre che nel coordinamento, gestione e valutazione di progetti, con particolare attenzione a quelli di cooperazione istituzionale per l’inclusione sociale ed il contrasto alle marginalità, temi che ho approfondito anche attraverso il Master in Integrazione Etnica dell’Università S. Pio V di Roma.

Mohamed Keita
Le foto di questo sito sono di Mohamed Keita, giovanissimo e talentuoso fotografo di origine ivoriana. Abbandonato il suo Paese a soli 14 anni per fuggire alle distruzioni della guerra civile, ancora minorenne approda in Italia dopo un lungo viaggio. Qui scopre la sua vocazione per la fotografia, che diventa ragione di vita e professione. In questi anni ha realizzato numerose esposizioni in Italia e all’estero, e ha avviato un laboratorio fotografico a Bamako, sostenuto dalla Fondazione Pianoterra, per offrire una via d’uscita ai ragazzi di strada attraverso l’espressione artistica e la fotografia: “Kene“.