Il 28 maggio 2025 è stato inaugurato il nuovo Laboratorio di Meccanica del Borgo Ragazzi Don Bosco, il primo atto concreto del programma di collaborazione triennale con la Fondazione Paolo Bulgari per il sostegno dei percorsi di formazione professionale e il rilancio dell’imprenditoria giovanile.
Intervista a Nicola Ingegnere, coordinatore del settore di Meccanica Industriale
«Di anno in anno questo lavoro continua a regalarmi una grande emozione: la felicità di accogliere gli allievi appena usciti dalla scuola media, ancora ragazzini, e di vederli uscire nella società con un lavoro, la dignità, la perseveranza, la costanza. Questo mi fa sentire realizzato, mi motiva ogni giorno a restare».
Nicola Ingegnere, 37 anni, un diploma da perito industriale, ha vissuto in prima persona i benefici dell’ecosistema pedagogico-formativo di Borgo Ragazzi Don Bosco e lo testimonia ogni giorno agli studenti con la passione che mette nel suo lavoro, quello di coordinatore del corso di meccanica industriale tornitori-fresatori nel centro di formazione di via Prenestina. Portato all’oratorio dal padre a sette anni per giocare a calcio lontano dalle insidie della strada, Nicola non ne è più uscito: al Borgo ha preso i sacramenti, ha animato le attività dell’oratorio, e ha deciso di restare a lavorare quando il direttore del centro gli chiese, giovanissimo studente di ingegneria, di entrare nel settore della formazione professionale. Il fratello gemello Piero ha seguito un percorso parallelo che lo ha portato a diventare sacerdote salesiano a Genova.
Quanti ragazzi frequentano il corso di meccanica industriale e da dove vengono?
«Ospitiamo una media di 16-20 studenti per ciascun anno di corso, attualmente al quarto ne abbiamo 18. Provengono tutti dal bacino di Roma Est: Centocelle, Quarticciolo, Collatina, Prenestina, Tor Pignattara, Corcolle, Borghesiana, Castel Verde, Ponte di Nona, Tor Bella Monaca. A noi però cambia poco: abbiamo imparato che i ragazzi sono ragazzi, se si appassionano alla cultura del lavoro e se l’esperienza li affascina, non ci sono più quartieri».
E come è possibile appassionarli? Spesso la formazione professionale non è l’ultima spiaggia per chi non vuole andare a scuola?
«A volte è così, c’è chi ci sceglie perché non ama la scuola, e poi si trova male perché al Borgo si lavora e si fatica parecchio. Per questo durante gli Open Day trasmettiamo il messaggio opposto: iscriviti da noi perché vuoi lavorare. Come si fa ad appassionarli? Nella mia esperienza un ruolo molto importante lo hanno avuto gli insegnanti: chi mi ha trasmesso la cultura del lavoro passava tanto tempo con noi ed era il primo a dare l’esempio. Un altro aspetto dirimente è costruire con loro una relazione basata sul dialogo, fermarsi a discutere, mostrare altre opportunità. Oggi i ragazzi sono affascinati soprattutto dai soldi e dai social, e da questo punto di vista anche le aziende con cui collaboriamo forniscono testimonianze importanti. C’è chi ha lavorato per anni in un granaio e ora ha un’azienda strutturata, qualcuno anche il Maserati parcheggiato fuori. ‘Io mi ero dato un obiettivo, volevo costruire qualcosa, poi sono arrivati anche i soldi’. La cosa fondamentale, quindi, è crescere con degli obiettivi, se questi mancano o decadono non fai neanche i soldi. Per questo lavoriamo con le aziende e dedichiamo tanto tempo alla ricerca del lavoro. Se è vero che i ragazzi vengono qui per entrare a pieno titolo nella società, evitando le scorciatoie, è importante che vedano uno sbocco».
Com’è il rapporto con le aziende? I ragazzi trovano subito lavoro?
«Le società con cui lavoriamo sono tante, circa una cinquantina, il risultato di un paziente lavoro di costruzione di relazioni con il territorio cominciato tanti anni fa. Oggi le aziende ci cercano e ci chiamano, a volte riusciamo a entrare ancora in contatto con qualche nuova realtà. Purtroppo non riusciamo a soddisfare tutte le loro esigenze, quest’anno sono rimaste evase una dozzina di richieste. Tutti i ragazzi che concludono il percorso ricevono una proposta di apprendistato e cominciano un cammino lavorativo. Anche i ragazzi che al quinto anno decidono di completare il percorso scolastico, quando tornano da noi con un diploma».


In pochi sanno che cosa sia e a cosa serva la meccanica industriale: ci puoi dire che cosa producono le aziende con cui siete in contatto?
«Ce ne accorgiamo durante gli Open Days: i ragazzi, le loro famiglie, anche molti insegnanti, sanno della meccanica per le auto, le moto, gli aerei, quasi nessuno conosce la meccanica di costruzione alla base un po’ di tutto. Qui abbiamo società che producono macchine per la pasta all’uovo a livello industriale, dalla scocca alla componentistica. Un’azienda leader con sede sulla Tiburtina produce ed esporta in tutto il mondo cavalletti di precisione per il cinema. Una vicino ad Ariccia cura per Ryan Air tutta la parte meccanica dell’equilibratura delle gomme, i carrelli di acciaio, la certificazione sulle saldature. Altre si distinguono nel settore medicale di precisione, dalla produzione dei cappucci per le siringhe, realizzati con le fresatrici a 3, 4, 5 assi, alla realizzazione delle strutture per i lettini o delle colonnine per le flebo.».
Si tratta quindi di un settore chiave. Se domani smettesse di esistere, ci puoi dire cosa andrebbe in crisi nella vita di tutti i giorni?
«È così importante e dinamico che durante il Covid nessuna delle aziende con cui collaboriamo si è fermata, altrimenti avremmo rischiato la paralisi in altri settori fondamentali. Per stare al gioco, possiamo dire che, se domani la meccanica industriale dovesse venire improvvisamente meno, avremmo grossi problemi in tutti i settori chiave, dalla ristorazione ai trasporti, dalla sanità alla componentistica spaziale al cinema. Molte aziende offrono un lavoro qualificato, ben remunerato, producono innovazione. Durante il Covid, tre società hanno comprato in quattro e quattro otto macchinari di meccanica industriale per produrre le mascherine».
Tu lavori qui da molto tempo, come sono cambiate le lavorazioni negli anni?
«Quando sono entrato qualche azienda aveva ancora i torni tradizionali, gli stessi che impieghiamo per insegnare al primo e al secondo anno. Gli operai più anziani, che non si erano aggiornati, li utilizzavano per fare le ‘riprese’, ovvero per lavorare i pezzi usciti non perfettamente rifiniti dalle macchine. Le lavorazioni tradizionali sono scomparse da una dozzina d’anni, cosa per cui alcuni macchinari non li mettiamo più nel programma, le aziende impiegano ormai solo macchine automatiche, e stiamo andando anche verso un’industria 4.0 dove la robotica sostituisce, ma solo fino a un certo punto, la componente umana».


Puoi spiegarci più nel dettaglio le ultime innovazioni?
All’inizio l’operatore lavorava ai torni esclusivamente con le mani, in seguito ha cominciato a realizzare i programmi su macchine automatiche per poi inviarli ai torni. Successivamente sono arrivati i software CAM (Computer-Aided Manifacturing) che consentono, con l’ausilio di un computer, di estrapolare i programmi, ovvero le istruzioni per la macchina, direttamente dal disegno. Il nuovo tornio a controllo numerico, che grazie alla Fondazione Paolo Bulgari abbiamo potuto installare nel laboratorio, utilizza ancora una nuova tecnologia che di fatto consente di bypassare anche il lavoro di programmazione: per generare il programma e realizzare il prodotto basta inserire il disegno direttamente all’interno della macchina. La presenza di un operatore esperto resta comunque indispensabile per impostare il lavoro, attrezzare la macchina, scegliere l’utensile, verificare la sporgenza del pezzo dalle griffe.
Quali criteri avete seguito per la ristrutturazione del laboratorio?
Quando siamo venuti a conoscenza del budget (500 mila euro solo per il rinnovamento del laboratorio), abbiamo deciso di utilizzare questa occasione per offrire ai ragazzi una visione complessiva del lavoro che li attende una volta completato il percorso. Nel nuovo ambiente che inauguriamo a fine maggio, ad esempio, abbiamo potuto colmare due importanti lacune, acquistando un tornio automatico e realizzando una sala per il collaudo. Prima di questi innesti potevamo formare i ragazzi solo sulla lavorazione dei pezzi quadrato-rettangolari mediante la nostra fresatrice automatica a tre assi, mentre in materia di torni e di produzione di pezzi circolari dovevamo necessariamente accontentarci di impartire una formazione teorica. Allo stesso modo, la possibilità di realizzare una sala collaudo, acquistando una macchina fabbricata da un’azienda leader del settore, la giapponese Mitutoyo, ci ha permesso di fare un salto tecnologico incredibile. A livello di scuola o di centro professionale in Italia una cosa del genere non ce l’ha nessuno, ma anche molte piccole e medie aziende preferiscono appaltare questa parte del lavoro all’esterno: mettere insieme una sala collaudo con il sistema di aspirazione, le pareti coibentate per mantenere la temperatura a 22 gradi (ndr. la temperatura che permette ai metalli di mantenere tutte le loro proprietà), formare e dedicare un operatore, ha costi elevati. Da oggi i ragazzi che si qualificano da noi hanno uno sguardo più completo sul lavoro che li aspetta. Grazie a questo upgrading, infine, potremo valorizzare i nostri nuovi macchinari anche nel pomeriggio, con la realizzazione di corsi di formazione pomeridiani per adulti e altre categorie non ricomprese nella formazione professionale regionale. Si pensi alla dispersione, a chi ha perso il lavoro, alla fame di riqualificazione professionale. C’è tutto un serbatoio da formare e non ci sono altre strutture che lo fanno.