Intervista a Carola Carazzone

Torinese, 46 anni, due figli, avvocato specializzato in diritti umani, Carola Carazzone è protagonista da tempo del mondo della cooperazione, della difesa dei diritti umani, della filantropia. Prima donna presidente del VIS, prima donna portavoce del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani, prima donna italiana nominata nel board di Dafne (Donors and Foundations Networks in Europe), membro dell’advisory board di Ariadne (European Funders for Social Change and Human rights) e di ECFI (European Community Foundations Initiative), dal 2014 è Segretario Generale di Assifero, l’Associazione italiana delle fondazioni ed enti della filantropia istituzionale.

Carola Carazzone, puoi spiegarci qual è oggi l’impegno principale di Assifero?

Il grande sforzo che stiamo facendo a tutti i livelli – locale, nazionale e europeo – è quello di promuovere il ruolo della filantropia come catalizzatore di risorse non solo finanziarie ma intellettuali, relazionali, umane da mettere a sistema e da valorizzare per il bene comune. Si tratta di superare la logica di ente ‘erogatore/beneficiario’ per entrare in una mentalità di partnership strategica di lungo periodo, in cui chi ha risorse di vario tipo le mette a sistema in un modo di interazione dinamico. Questa è la direzione verso cui puntiamo: affrontare la complessità delle sfide sociali e culturali dell’attualità con una nuova logica: sistemica.

Carola Carazzone, puoi spiegarci qual è oggi l’impegno principale di Assifero?

Il grande sforzo che stiamo facendo a tutti i livelli – locale, nazionale e europeo – è quello di promuovere il ruolo della filantropia come catalizzatore di risorse non solo finanziarie ma intellettuali, relazionali, umane da mettere a sistema e da valorizzare per il bene comune. Si tratta di superare la logica di ente ‘erogatore/beneficiario’ per entrare in una mentalità di partnership strategica di lungo periodo, in cui chi ha risorse di vario tipo le mette a sistema in un modo di interazione dinamico. Questa è la direzione verso cui puntiamo: affrontare la complessità delle sfide sociali e culturali dell’attualità con una nuova logica: sistemica.

Uno sforzo che fate anche in Europa.

A gennaio per la prima volta ci siamo incontrati a Madrid con tutte le organizzazioni che a livello nazionale, regionale o tematico, supportano le fondazioni ed enti filantropici in Europa. Eravamo in 125, tutte realtà giovani nate negli ultimi 10 anni con l’eccezione del European Foundation Center. È stato un momento fondamentale di questo percorso: il punto di partenza per la costruzione di un nuovo ecosistema per la filantropia europea. Stiamo cominciando a capire che non siamo in competizione per avere più membri, ma che possiamo e dobbiamo lavorare insieme, abbandonare il meccanismo competitivo importato dal profit, che per noi non può funzionare, e abbracciare un meccanismo generativo, collaborativo e propositivo. Per fare questo dobbiamo passare da una logica di input a una di outcome, ragionando non tanto in termini di gestione del proprio patrimonio o di erogazione di grants, ma di impatto che si vuole ottenere, superando la logica dei progettini di breve termine e dei finanziamenti vincolati ad attività e output. Insieme dobbiamo sperimentare nuove risposte a nuovi e vecchi problemi, influenzare le politiche, far sentire la nostra voce per partecipare alla democrazia e allo sviluppo umano e sostenibile delle nostre comunità e del nostro Paese e del mondo.

Dobbiamo cambiare mentalità.

Quali sono le parole chiave nel vostro lavoro?

Le parole chiave per noi sono contribuire a costruire un sistema filantropico italiano ed europeo più informato, più connesso e più efficace. Le parole per cui lavoriamo sono ‘cambiamento sistemico’ e ‘approccio di sistema’: all’ultimo incontro di Davos, a gennaio 2020, alcune fondazioni internazionali hanno lanciato il rapporto collettivo “Embracing Complexity. Towards a shared understanding of funding systems change”, che spiega cosa si può e si deve fare per finanziare un cambiamento sistemico. Questi per noi sono concetti e parole molto importanti.

E in Italia che succede?

Un segnale positivo della filantropia italiana è certamente la crescita di Assifero: + 22 associati nel 2018, + 20 nel 2019. Dall’inizio del 2020 sono già pervenute 7 nuove richieste di adesione. È emozionante pensare che solo cinque anni fa Assifero era una associazione di categoria, un po’ club, quasi esclusivamente radicata in Lombardia, mentre ora è in tutto il Paese. Recentemente abbiamo organizzato un gruppo di lavoro a Napoli con quindici Fondazioni campane, che cinque anni fa non erano neppure in rete tra loro. Inoltre, le fondazioni iniziano a conoscersi, collaborare, a cercare connessioni e più visibilità. Tradizionalmente il mondo delle fondazioni filantropiche è molto più chiuso, solipsistico e autoreferenziale di quello, per esempio, delle organizzazioni non governative o delle cooperative, che hanno bisogno di stare insieme se vogliono presentare un progetto a un Ministero, a un donor pubblico o all’Unione Europea. Avendo la loro autosufficienza economica, le fondazioni filantropiche, invece, possono permettersi di arroccarsi nelle loro torri di avorio. Ma finalmente si comincia a percepire che non è più il tempo del solipsismo per nessuno. Trovo molto bello che ci si stia aprendo alla collaborazione con altre fondazioni filantropiche e agli altri enti del Terzo settore. Il nostro programma di servizio civile universale che unisce 125 enti ne è un esempio.

Un contributo al rinnovamento viene anche dalla riforma del Terzo settore.

Il superamento del regime concessorio di epoca fascista è stato un passaggio fondamentale. Il fatto che la fondazione non sia vista più soltanto come un patrimonio destinato a uno scopo, ma come Ente filantropico in senso più moderno, parte integrante della società civile del Terzo Settore, è un segno molto positivo in termini di visione politica, di Ethos e di identità collettiva.

Prima infatti non era molto chiaro a quale ‘Ministero’ le fondazioni volessero appartenere. A quello della Finanza? A quello dell’Economia o a quello degli Affari sociali? Oggi la legge riconosce che le fondazioni filantropiche stanno nel Terzo Settore. A questo, come Associazione, ci siamo dedicati moltissimo, e il risultato è importante in termini di trasparenza, credibilità, riconoscimento: per noi è fondamentale che le fondazioni siano viste come partner strategici, non solo come bancomat a cui richiedere il finanziamento di progettini già scritti e infiocchettati.

Cosa resta da fare?

Il mio obiettivo come Segretario Generale di Assifero è quello di contribuire ad unire questi mondi: voglio contribuire a creare dei ponti per superare gli ego e i silos che hanno finora impedito di costruire un sistema. Bisogna considerare che in Italia quello delle fondazioni è un mondo giovanissimo. I miei colleghi americani sono alla quinta generazione della stessa famiglia, noi abbiamo pochissimi casi di fondazioni italiane alla seconda generazione, nelle quali comunque la seconda generazione non ha ancora un ruolo preponderante. È certamente vero che in Italia c’è una cultura millenaria del dono e che abbiamo alcuni degli enti filantropici più antichi del mondo, almeno di quello occidentale… basti pensare alle misericordie toscane del 1300, alla Carità Apostolica a Brescia, al Pio Monte a Napoli, all’Ufficio Pio della Compagnia di S Paolo a Torino. Le famiglie e le imprese italiane, tuttavia, sono pochi anni (nemmeno decenni) che hanno iniziato a stabilire le proprie fondazioni. Questo perché nel contesto italiano si faceva e si fa la beneficenza e le donazioni alla Chiesa, alle Congregazioni, alle Opere di Bene, all’Arte, ma non c’è mai stata l’idea di costituire una fondazione legata al proprio nome, dato che nella nostra cultura questo è considerato quasi un oltraggio: ‘non sappia la tua sinistra ciò che dona la tua destra’. Da qualche anno però le cose stanno cambiando anche da noi. Sono perfino iniziate collaborazioni tra fondazioni: posso citare almeno 7/8 fondazioni che collaborano tra di loro stabilmente, ci sono altri esempi di partnership tra Fondazioni di Comunità su progettualità condivise e di adesione anche a “Collaborative Pooled Funds” a livello europeo per esempio per i minori non accompagnati oppure sul giornalismo indipendente. Siamo ancora all’inizio, ma lo sviluppo, quantitativo e qualitativo, delle fondazioni filantropiche in Italia è in atto e le organizzazioni di supporto alla filantropia come Assifero hanno un ruolo unico ed imprescindibile da giocare nell’accelerare questo processo.

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