Responsabilità: “Il fatto, la condizione e la situazione di essere responsabile”
Responsabile: “Che risponde delle proprie azioni e dei proprî comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze”
Siamo a Napoli. È una sera qualunque di un marzo sui generis, nell’anno bisestile 2020 d.C. (Dopo il Coronavirus). Un ragazzo, in sella a un motorino, punta una pistola alla tempia di un uomo intento a parcheggiare. Vuole rapinarlo. L’uomo è armato. Il ragazzo muore poco dopo, il pronto soccorso dove è stato trasportato viene devastato dai parenti del ragazzo. Questi sono i fatti.
Osserviamo le persone: l’uomo minacciato è un carabiniere fuori servizio. Teme per la propria vita e per quella della sua fidanzata, che è con lui. Chi guida il motorino è un diciassettenne, amico del ragazzo morto. I parenti del ragazzo sono in preda a rabbia e disperazione. Il ragazzo rimasto ucciso si chiama Ugo. Impugna una pistola giocattolo. Ha 15 anni.
Ora le circostanze: il dramma si svolge nel rione Santa Lucia, quartiere centralissimo come lo sono pure i Quartieri Spagnoli, dai quali proviene Ugo. Zone di una città che per sua secolare conformazione urbana e sociale vede coabitare persone oneste e delinquenti, uomini facoltosi e gente diseredata, borghesia colta e povertà (educativa, economica, entrambe).
Borghesia colta e povertà…Cosa c’è che potrebbe avvicinare queste categorie tanto distanti nei destini individuali e tanto geograficamente contigue? Anzi, cosa c’è che, fuor di retorica, potrebbe mitigare l’ineluttabilità insita nel termine “destino”, sostituendolo con “scelta”?
La prima risposta è LA SCUOLA. Specie se vieni da un contesto fragile. Specie se hai 15 anni. La scuola come luogo fisico protetto, e come luogo ideale nel quale costruire un percorso di riscatto dagli abbrutimenti della vita. Ugo a scuola non ci andava più, come tanti altri da queste parti. “La scuola non è attrezzata per affrontare situazione come questa – tuona Cesare Moreno, presidente dell’Associazione Maestri di Strada, al Redattore Sociale– c’è un istituto professionale nel Rione Sanità che boccia al primo anno l’80% degli studenti. Ma anche le altre scuole della zona se ne perdono per strada il 30-40%: non chiamiamola dispersione scolastica, questo è un sistema che non funziona nel suo insieme”.
La seconda parola, connessa alla prima, è RESPONSABILITÀ, perché responsabile è chi risponde delle proprie azioni e comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze. E allora Ugo è stato responsabile di aver tentato una rapina. Vero. Ma lui le conseguenze delle proprie azioni le ha subìte in maniera inappellabile, pagando con la vita.
Sarebbe troppo comodo chiudere qui la vicenda. Dire che è andata come doveva andare. E invece è andata come era scritto, e c’è una abissale differenza: la stesura di questo triste copione è collettiva, come si evince dall’analisi di Moreno. Analisi che ci ricorda che le ragioni delle proprie azioni derivano – specie in contesti di deprivazione – anche da azioni e ragioni altrui, dunque da altre responsabilità. Sicuramente è il caso di Ugo, non fosse che per la minore età, discriminante della capacità di intendere e volere, quindi della imputabilità, di una persona. Quali altre responsabilità possiamo dunque intravedere in questa tragedia? La famiglia di appartenenza, le amicizie sbagliate, il quartiere, la società che applaude gli attori di Gomorra come fossero divi ed è pronta a scagliarsi con veemenza su un ragazzo allo sbando morto a 15 anni.
Queste sono aree, dice Moreno, “in cui sono concentrate persone ‘senza futuro’ ed in cui sono necessari interventi sociali diversi, non basati su investimenti di capitale monetario ma sulla creazione di capitale sociale” occorre “educare la comunità”. Educazione, Futuro, Capitale Sociale. Parole importanti. Parole che non possono non rimandare alla Scuola, istituzione che del capitale sociale dovrebbe essere interprete, generatrice, abile moltiplicatrice, a garanzia del futuro dei nostri ragazzi e di tutti noi. Una scuola che però, in contesti simili, non ce la fa.
Ciò che mi sembra di ravvisare con forza è allora la responsabilità sociale di un fallimento, su cui spicca il mancato percorso scolastico di un ragazzo morto troppo presto. Che forse a scuola avrebbe potuto trovare una sua vocazione, una sua strada. Avrebbe potuto.