«Quando finirà questa emergenza, dovremo ripensare il nostro modo di fare scuola», dice dall’altro capo del telefono Ida Crea, dirigente dell’Istituto tecnico Enzo Ferrari. «Ora non abbiamo tempo: siamo impegnati anima e corpo a risolvere i piccoli e grandi problemi quotidiani che ci pone la didattica a distanza, a cominciare dal mancato accesso di molti nostri studenti (e anche di qualche docente) a dotazioni tecnologiche adeguate».
L’Istituto che presiede da otto anni comprende tre tecnici storici dislocati nella periferia sud orientale della Capitale, tra l’Appia, Cinecittà e Anagnina: due a indirizzo industriale, il Vallauri e l’Hertz, e uno a indirizzo commerciale che porta il nome di un grande esploratore, Giovanni da Verrazzano. «In quanto dirigente di un ‘istituzione di frontiera’ – rivendica con orgoglio – lotto quotidianamente per abbattere le barriere socio-culturali ed economiche costruite sulla pelle delle nostre studentesse e dei nostri studenti». E ai tempi del Covid-19, abbattere i muri significa prima di tutto contrastare, casa per casa, il digital divide tra le famiglie. «In questo momento sciagurato – spiega Ida Crea – stiamo disperatamente tentando, attraverso l’attivazione della didattica a distanza, di non perderci ragazze e ragazzi. È un’impresa complicatissima, resa ancora più ardua dalla mancanza di strumentazione tecnologica compatibile con lo sviluppo della DaD da parte di tanti studenti. Il panorama dei nostri circa 1300 allievi è molto variegato. In tanti vengono dall’estrema periferia di Roma – dalle Torri fino ai Castelli Romani – e da alcuni contesti di disagio. Nelle scorse settimane con i coordinatori di classe abbiamo avviato una piccola indagine sugli studenti che disertano le lezioni. Li abbiamo chiamati uno a uno e per una sessantina di loro abbiamo scoperto seri deficit tecnologici. È anche possibile che questa sia solo la punta dell’iceberg, e che il fenomeno possa avere proporzioni più ampie».
Come già riscontrato in altre scuole, anche per il Ferrari i fondi messi a disposizione a tempo di record dal Ministero si sono rivelati insufficienti. Ma ancora più del budget preoccupa l’incertezza sui tempi di consegna degli strumenti acquistati… o meglio la relativa certezza che potrebbero arrivare a giochi fatti. «Ci siamo mossi in maniera tempestiva dando ad alcuni studenti i pochi pc e tablet di cui eravamo già in possesso e avviando le procedure di acquisto quando sono arrivati i fondi: 5 PC tramite la ditta che fornisce la manutenzione e altri 20, più alcuni tablet, attraverso il MEPA, il mercato elettronico della pubblica amministrazione. Abbiamo anche stabilito i criteri di assegnazione per assicurare i PC a chi fa l’esame di stato e ai ragazzi del biennio, alle prese con la scuola dell’obbligo. Com’è possibile fare i compiti in una classe virtuale o rispondere a un’interrogazione su un tablet? Per i nostri adolescenti la situazione è già abbastanza stressante così com’è, prigionieri in casa, non possiamo farli lavorare con strumenti inadeguati? Insomma, ci siamo dati da fare, ma poi, quando pensavamo di avere risolto almeno una parte del problema, abbiamo scoperto che per la data di consegna si parla di fine maggio, inizio giugno. Demoralizzante!».
Ormai prossima alla pensione, Ida Crea è stata testimone diretta del forte declino che ha colpito l’istruzione tecnica nel Centro Sud del Paese. Il Ferrari è composto da tre ex scuole storiche che nell’epoca d’oro, all’inizio degli anni Novanta, assommavano un numero elevatissimo di studenti. Solo il Vallauri, prospiciente il parco dell’Appia Antica, ne contava 1600, oggi tutte e tre insieme arrivano a malapena a 1300. Articolate le cause del declino: la grave crisi del sistema industriale-aziendale nel Centro-Sud, bacino di assorbimento naturale degli studenti (a sud di Roma, ad esempio, la chiusura a tappeto delle aziende farmaceutiche intorno alla Pontina); la ‘licealizzazione’ del biennio attuata dal Ministro Berlinguer, nata dal nobile intento di offrire a tutti gli studenti le stesse opportunità di apprendimento teorico, ma tradottasi in una perdita di valore specifico e di appeal agli occhi delle famiglie; il colpo di grazia della riforma Gelmini che ha tagliato drasticamente le ore di studio in laboratorio. «Era quella la parte qualificante dell’insegnamento tecnico, gradita ai ragazzi e alle famiglie, che ti aiutava a inserirti nel mondo del lavoro con una certa agilità. Grazie anche a quelle ore le aziende potevano fare affidamento su personale almeno in parte già qualificato; adesso invece il personale che arriva dalle scuole le aziende si devono preoccupare di qualificarlo».
In questi ultimi anni il Ferrari, malgrado tutto, è riuscito a tenere e l’istituto a indirizzo commerciale è addirittura in crescita. Grazie anche a una politica di apertura al territorio e alla collaborazione con l’Associazione da Sud, che due anni fa, in uno dei locali inutilizzati di via Contardo Ferrini, ha inaugurato l’Accademia Popolare dell’antimafia e dei diritti, oggetto non identificato di innovazione culturale, fucina di incontri e di stimoli attraverso la sua biblioteca, il teatro, il cinema, la web-radio fatta con gli studenti, e le attività di sostegno e integrazione alla didattica. «Come scuola abbiamo sempre lavorato molto con le associazioni. Con Da Sud abbiamo creato un’alleanza più strutturata, incardinata nella scuola, che ambisce a diventare un modello, per far incontrare l’istituzione scolastica con le forze del territorio che possono portare energie culturali fresche di cui la scuola può beneficiare a largo raggio. Qui tutto ciò che è alleanza educativa tra scuola e società civile è benvenuta. Una volta usciti da questa crisi dovremo davvero metterci a lavorare un po’ più a fondo e in rete per contrastare la povertà educativa… è una piaga che rischia di far scivolare il nostro paese verso orizzonti che non voglio immaginare».
Sotto questo aspetto, anche per Ida Crea la crisi può rappresentare un’occasione di crescita. Non è un mistero che fino a poche settimane fa gran parte del corpo docente guardasse alla formazione a distanza con estremo sospetto, e non come a una possibilità per aggiornare la lezione e agganciare studenti alle prese con una crisi motivazionale epocale. «Io non ho nulla contro la lezione frontale, ci vuole pure quella. Ma è chiaro che oggi non può bastare, perché l’indice di attenzione degli alunni si abbassa sempre di più, perché gli stimoli che avevo io da adolescente erano irrisori rispetto a quelli che hanno loro, e perché la tecnologia ha invaso la loro vita in modo prepotente. Oggi, finalmente, sbattendoci le corna, scusa l’espressione, tanti docenti hanno la possibilità di capire che nella loro didattica devono fare entrare non tanto gli strumenti bruti, ma i linguaggi che si portano dietro. Quando usciremo dall’emergenza, la formazione dovrà concentrarsi sulla possibilità di far diventare gli studenti protagonisti e attori della ricerca dell’informazione, di come selezionarla, di come non farsi fagocitare, ma trasformare questa marea di dati in un mare utile per creare piccoli bacini produttivi per la loro crescita».
Quando usciremo dall’emergenza. Ida Crea lo ripete in continuazione, anche se al momento non è dato sapere quando né come questo potrà accadere, e il tempo per guardare avanti è un lusso. Ora i bisogni sono altri e immediati. Bisogna rimediare velocemente i computer e tablet per gli studenti, coordinare la didattica a distanza, ascoltare gli sfoghi dei docenti, mantenere il timone della scuola a dritta, come seppe fare secoli fa Giovanni da Verrazzano. «Il mantra è: ce la faremo. Non è facile, ma guai se molliamo!»