Per programmare e coordinare gli interventi urgenti di contenimento della frana sociale in atto è fondamentale riuscire a integrare le diverse fonti di dati sulle famiglie più a rischio. Un obiettivo dal quale siamo ancora molto lontani: l’esempio di Milano e il caso Roma.

Le previsioni dell’UE (9,5% di PIL in meno), le stime del primo trimestre rilasciate dall’Istat (4,7% di PIL in meno), le mense Caritas (38.580 “nuovi poveri” in due mesi, +105%), e ancor prima il senso comune, ci dicono che il Paese sta andando incontro a una crisi senza precedenti.

È lecito attendersi che le (fondamentali) misure di sostegno alle famiglie, al lavoro e alle imprese promosse dalle istituzioni centrali e locali possano minimizzare il danno. Ma è certo che la platea dei poveri – già ampia prima del lockdown e ingrossatasi a dismisura subito dopo – sia destinata a crescere ulteriormente nei prossimi mesi, insieme alle richieste di sostegno materiale e alimentare. Per riuscire a raggiungere tutti bisognerà programmare nella maniera più efficiente possibile gli interventi di aiuto, facendo leva su due assi fondamentali: l’integrazione dei dati e il massimo coordinamento possibile tra tutti gli attori pubblici e privati mobilitati sui territori.

Un esempio di risposta di sistema all’emergenza sociale viene da Milano. Qui l’Amministrazione comunale, all’indomani del 5 marzo, ha saputo mettere in piedi all’impronta un dispositivo di aiuto alimentare domiciliare, centralizzato e capillare, che integra i servizi municipali, le risorse del Terzo settore e quelle del capitale privato.

Un ingrediente fondamentale della pronta risposta meneghina all’emergenza si chiama QuBì, progetto di contrasto alla povertà minorile promosso nel 2016 dalla Fondazione Cariplo, insieme a Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo Spa, Fondazione Fiera Milano, Fondazione Snam, e in collaborazione con il Comune di Milano e le organizzazioni del Terzo Settore. “Il progetto è partito con un’opera meticolosa di integrazione e omologazione di dati  – spiega Laura Anzideo, project manager di Cariplo – Unendo 21 database differenti relativi a misure di sostegno al reddito, sia comunali che statali che transitano attraverso il Comune (bonus gas, sostegno INPS ai nuclei numerosi, assistenza domiciliare, edilizia popolare, SIA, eccetera), e incrociando i dati dei nuclei familiari beneficiari, siamo riusciti a dimensionare la povertà e a individuare 23 quartieri sui quali intervenire in maniera prioritaria”. Una volta individuati i quartieri, il progetto ha investito per tre anni sulla costruzione di reti ampie e collaborative del Terzo Settore, dalla Caritas alle parrocchie, dalle associazioni ai doposcuola alle social street, in stretto raccordo con i servizi sociali.

“Nell’ultimo anno e mezzo di lavoro avevamo chiesto a tutti gli attori delle reti dei quartieri di aiutarci a individuare le famiglie con bambini in povertà, partecipando alla costruzione di un database comune, privacy compliance. Questo lavoro di emersione della povertà dal basso ha permesso che le liste della povertà più nera – 100-150 famiglie per quartiere – andassero subito nella pancia del comune: quando è scoppiata la crisi abbiamo richiamato le famiglie una ad una chiedendo loro se potevamo passare gli indirizzi ai servizi sociali per poterli aiutare sul fronte alimentare. Ovviamente tutte hanno risposte di sì e una settimana dopo 4000 nuclei familiari ricevevano la spesa”.

Nel frattempo, infatti, la collaborazione tra il progetto e il Comune aveva posto le basi e reperito il personale per aprire 10 hub per la distribuzione alimentare: un piccolo esercito scalzo formato da bibliotecari, addetti ai servizi disabili e altro personale del Comune forzatamente a casa, insieme a operatori QuBì, volontari del Terzo settore, giovani dei centri di aggregazione giovanile, lavorava compatto per portare il cibo agli affamati.

“Nelle ultime settimane la base dei poveri si va allargando e tutti vogliono fare collette alimentari, aprire magazzini e dare da mangiare. Noi stiamo cercando di dire a tutti di entrare a far parte del sistema con una visione lunga, perché fra un po’ sarà dura. Cerchiamo di capacitare il terzo settore, insegniamo a fare filtro e continuiamo a raccogliere più codici fiscali possibili. Sono fondamentali per poter incrociare le risorse in campo: quando a una famiglia arriva il buono spesa il Comune sa che può sospenderla dall’hub e dare cibo a una nuova famiglia. In questo modo cerchiamo di raggiungere tutti”.

www.fondazionecariplo.it

Visto da Roma il sistema milanese pare fantascienza. Anche nella Capitale stiamo assistendo a una straordinaria e generosa mobilitazione da parte di tantissimi attori, istituzionali e del terzo settore, dai Municipi alla protezione civile, dalla Caritas all’esercito della salvezza, fino al centro sociale. Da settimane dappertutto è uno straordinario fiorire di pacchi alimentari, carrelli e libri sospesi, ma senza alcun vero dispositivo capace di mettere a sistema ciò che si va facendo. Tranne qualche iniziativa sporadica nessuno ha lavorato e lavora alla raccolta e all’integrazione delle diverse fonti di dati sulla popolazione in stato di bisogno. Gli elenchi dei beneficiari dell’assistenza domiciliare, quelli relativi ai destinatari di contributi economici (ex delibera 154), le liste dei bonus per l’affitto, i censimenti dell’edilizia popolare e tanti altri file preziosi, giacciono, sparpagliati e inaccessibili, in diversi uffici del Comune. Per non parlare di quelli del Terzo settore: se ci sono, sono dispersi in mille rivoli.

Le liste fornite dai servizi sociali municipali alla Protezione Civile o ad altri enti per la distribuzione dei pacchi alimentari finiscono così per rilevare solo una piccola parte del bisogno, come spiega Federico Bonadonna, antropologo, undici anni spesi all’interno del Dipartimento delle Politiche sociali del Comune di Roma, approdato due mesi fa alla guida del Comitato romano della Croce Rossa:

“Le liste delle persone in stato di bisogno provengono dal nostro numero verde e dai municipi. Sono elenchi realizzati dagli assistenti sociali del Comune che intercettano però solo una parte delle povertà urbane e non necessariamente la più clamorosa. Perché i servizi sociali sono stati pensati, come diceva il sociologo Giovanni Pieretti di Bologna, per individui volterriani, persone razionali e con capacità relazionali avanzate. E anche perché i servizi sociali oggi sono piccoli uffici, con pochissimo personale, spesso in burn-out, gente che non ce la fa più, buttata in frontiera ad arginare quasi con le mani fenomeni di degrado sociale avanzatissimi. Allo stato attuale, a Roma non c’è nemmeno integrazione tra servizi sociali comunali e operatori delle cooperative sociali che, in convenzione con il Comune, lavorano all’assistenza domiciliare toccando con mano un’area di grande bisogno”.

Che a Roma i fenomeni di impoverimento e di degrado siano avanzatissimi lo dimostra intanto una originale elaborazione di dati realizzata dall’Osservatorio Casa Roma di Enrico Puccini a partire dall’ultimo censimento dell’ATER a Tor Bella Monaca. L’analisi mostra come il 41% delle famiglie residenti nei 1400 alloggi di proprietà regionale versi in condizione di povertà assoluta e che il 22% abbia addirittura reddito zero. Per completare la ricerca servirebbero i dati relativi ai restanti 4000 alloggi di proprietà comunale, ma a Roma il patrimonio abitativo di proprietà pubblica non solo è diviso in due, ma è gestito separatamente da due database che non comunicano tra loro e ai quali non è immediato accedere.

22%

Famiglie a reddito zero

41%

Famiglie in povertà assoluta

Mai come in questo momento portare a termine questa ricerca potrebbe avere una sua utilità intrinseca: i dati, infatti, sono disaggregabili a livello di scala e permetterebbero alle istituzioni di programmare eventuali interventi mirati di sostegno materiale. Per questa ragione la Fondazione Paolo Bulgari, il Comitato romano della Croce Rossa, il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche de La Sapienza, il Dipartimento di Economia Aziendale di Roma Tre e l’Osservatorio Casa Roma, hanno scritto una lettera alla Sindaca Raggi e ad altri assessori capitolini per chiedere di poter avere accesso ai dati comunali dell’ultimo censimento ERP.

Il lavoro su Tor Bella Monaca potrebbe costituire una best practice da replicare in altri quartieri pubblici del territorio, dando inizio a quel lavoro di integrazione e sistemazione dei dati di cui oggi abbiamo bisogno come e per il pane.

www.osservatoriocasaroma.com