La parola “rete”, e tutto il corollario semantico che ad essa si intreccia, ricorre spessissimo nel vocabolario di chi si approccia a tematiche sociali: “fare rete”, “mettere in rete”, “rafforzare la rete” oppure “allargarla”, “infittirla”, “governarla”, e chi più ne ha più ne metta, sono espressioni di uso ormai assolutamente comune. Tuttavia una tale frequenza di utilizzo, in contesti altri rispetto a quello originario, ha fatto sì che sia andato perso il legame con il significato primitivo del termine.

A riprova di ciò, ho digitato la parola sulla pagina di ricerca di google (l’ho cioè digitata in rete!): ebbene, la prima occorrenza è la definizione di wikipedia: Col termine rete si intende comunemente un insieme di nodi interconnessi da canali di comunicazione per lo scambio di informazioni (dati e messaggi). Seguono le definizioni di rete di computer; rete telefonica; rete sociale; rete di telecomunicazioni.

Tutto vero. Eppure.

Eppure per me una rete è innanzitutto un intreccio ordinato di corde, intessute tra loro in funzione del tipo di pesca da praticare, e delle indicazioni del pescatore che ne commissiona la fattura. Insomma, in funzione di un bisogno. A raccoglierlo, nel paese della costa adriatica da cui vengo, era il signor Nino Majo, padre della mia amica del cuore, o se preferite sorella acquisita,  Loriana.

Nino era un uomo di mare: prima, giovane ufficiale di marina, aveva trascorso lunghi anni da Capitano di Macchine al motore di navi mercantili che circumnavigavano l’Africa. Poi, sbarcato definitivamente alla fine degli anni settanta, aveva scelto di aprire una bottega sul porto. A un passo, la spiaggetta del faro del molo nord. Di fronte, le bitte di ormeggio dei pescherecci. All’interno, tra matasse di cordame, forbici, piombini, Nino faceva le reti.

Nino tra i motori della sala macchine

Questa arte antica, appresa dai genitori, Nino l’aveva a sua volta trasmessa alla famiglia: è per me indelebile il ricordo della grande cucina di casa Majo dove immancabilmente, tra il pomello di una sedia e la maniglia della porta finestra, era distesa una rete in via di preparazione, alla quale si avvicendavano con eguale destrezza la moglie Maria, o i figli Loriana e Rocco, ragazzini abilissimi a maneggiare la “linguetta”, come a Ortona si chiama la spola. Ma il “disegno”, il “progetto” di rete, quello era sempre Nino a farlo: era lui cioè a indicare quanto lungo doveva essere il cordino esterno, quanti piombini applicarvi da un lato e a quale distanza tra loro, quanti galleggianti sistemare sul lato opposto, quanto larghe dovessero essere le maglie. Senza il progetto iniziale la rete sarebbe stata inservibile, perché la tenacia dei nodi è vana se non è accompagnata  dall’armonia delle misure della trama e dall’equilibrio tra pesi e forze differenti. Loriana mi diceva qualche giorno fa che in effetti progettare una rete “vuol dire mettere insieme tanti elementi diversi – cavi, cordini, galleggianti, boe, piombi sugheri – rendendoli utili ad uno scopo unico: pescare”. E mi ha così ricordato con asciutta efficacia quanto un concetto potenzialmente valido in astratto, diventi condizione imprescindibile nella sua applicazione concreta: una rete ha un’utilità solo se la si utilizza e se si riesce a riempirla. Quando ciò non accade – continuava Loriana nella nostra chiacchierata – ciò che brucia al pescatore, più che il guadagno mancato, è la giornata persa, le ore di sudore letteralmente gettate a mare.

La mamma di Nino, Elda, a “lavoro da casa”…

… e il nipotino, Federico, alle prese con la “linguetta”

Le chiedevo poi della manutenzione delle reti, di come funzionasse e se fosse cosa consueta. Mi ha risposto senza esitare: “certo, in caso di difetti di fabbricazione (spesso di reti prodotte industrialmente) o di singole maglie allentate o rotte, si procede al rammendo”, ma “quando una rete si sbrindella tutta, o si squarcia, allora non si può che gettarla, e rifarne una nuova”.

Sorrido provando ad immaginare cosa avrebbe detto il signor Nino se avesse saputo quanto il lavoro in Fondazione, che del complesso compito di cura della rete della Comunità Educante fa oggetto centrale del suo agire, mi riporti con la memoria alla sua bottega sul porto. Poi rivedo la sua pazienza, la sua abilità di artigiano, la sua capacità di maestro nel custodire il sapere e trasmetterlo. E rifletto sulle parole di Loriana. Penso che ad accompagnarlo nel suo ultimo, prematuro viaggio, la sua famiglia abbia voluto che fossero gli occhiali da vista e la linguetta con il filo che era stata di suo padre e che veniva tramandata da generazioni.

Allora penso che il signor Nino capirebbe. Anzi, ne sono sicura.