Vista da fuori, con la sua fila di sbarre a chiudere l’entrata, la ciclofficina popolare di Tor Bella Monaca sembra davvero una gabbia, come dichiara il suo nome. Nei fatti, invece, è esattamente l’opposto di una prigione: un luogo aperto e accogliente, caotico e educativo. Nata nel 2009 grazie all’intuizione di Lorenzo, la vita di questa officina per ciclisti continua oggi grazie all’impegno e alla costanza di Luigi, storico abitante del quartiere. “Sto qua dal ‘77”, sottolinea ridendo, “quando nella tenuta Vaselli c’erano ancora i campi di grano”. Barba bianca, voce roca, accento romano, è lui che tiene aperto, tutti i giovedì pomeriggio, questo magazzino stracolmo di ruote e catene, affacciato su Largo Mengaroni. “Alla gente gli devi dare degli spazi per socializzare, non ci possono stare solo i bar e i centri commerciali”.
Dopo oltre dieci anni di onorato servizio, lo spirito de La Gabbia è sempre quello delle origini, cioè mettere a disposizione di chi ama la bicicletta un luogo e degli strumenti per ripararla ma anche un posto per condividere e promuovere un’idea diversa di mobilità cittadina. Per questo motivo, nel tempo, la struttura si è fatta promotrice di numerose iniziative: giornate di festa, biciclettate in giro per Roma, corsi per bambini. Una battaglia culturale che mette al centro la ri-costruzione di quartieri che siano davvero a portata di essere umano.
Ma cosa fa, in concreto, una ciclofficina popolare? Forse lo si capisce meglio partendo da cosa è assolutamente vietato. Non si effettuano riparazioni su commissione, in ciclofficina, semmai si lavora insieme per sistemare le cose. E neanche si vende o si compra nulla; chi può e vuole porta qualcosa, chi ha bisogno, invece, chiede e riceve. “Per esempio, abbiamo un sacco di bici per bambini, se qualcuno passa e ne vuole una gliela regaliamo”. D’altra parte, la filosofia di una ciclofficina popolare sta in equilibrio su due ruote e su tre R: riduco, riciclo, riutilizzo. Un messaggio in netta controtendenza con quello diffuso dalla società dei consumi. “Abbiamo tutta roba che ci portano e che ci regalano, tutto riciclato; però oramai la mentalità che le cose si possono riparare è poco diffusa, i ragazzini sono abituati che quello si rompe si butta”