Con il suo modo di parlare serrato e schietto, il maestro Pietro Gentile ha il piglio di chi sa tenersi a debita distanza dalla retorica e dalle frasi preconfezionate, evitando con accortezza le trappole della nostalgia e quelle dell’abitudine. Descrive il suo rapporto con l’Istituto Melissa Bassi e con Tor Bella Monaca utilizzando parole “insidiose” come casa, famiglia, comunità; concetti spesso abusati che però lui maneggia in modo credibile e vero. “Insegno qui dalla metà degli anni ’80”, racconta, “quindi quasi tutta la mia carriera professionale l’ho svolta in questo istituto e con i colleghi abbiamo creato una vera comunità”. Una scelta, la sua, non un obbligo. “È una scuola che richiede molto, perché il contesto è difficile, però, allo stesso tempo, è stimolante; molte delle pratiche pedagogiche che si sono affermate negli anni, qui le abbiamo sperimentate in modo artigianale in anticipo”. Centro di gravità di queste sperimentazioni è sempre stato il concetto di inclusione. “Ma si potrebbe fare molto di più se ci fossero più risorse professionali e meglio formate”.

 La formazione dei docenti

Allargando lo sguardo dal particolare al generale, infatti, il maestro Pietro identifica proprio nella poca formazione dei docenti il tallone d’Achille del sistema scolastico in Italia. “La scuola primaria italiana funziona ancora bene ma meno di quanto potrebbe; servono competenze relazionali e di gestione di gruppi classi sempre più problematici, che non possono essere curati solo pensando al mero contenimento ma necessitano di una didattica propositiva e di crescita”. La frattura, secondo la sua ricostruzione, si è creata al momento del passaggio dalla scuola dei programmi (quali che alcuni chiamano “nozionistica”) alla scuola delle competenze. “Una svolta necessaria ma fatta senza accompagnamento culturale e professionale; la formazione dei docenti è il vero vulnus della scuola in Italia; abbiamo insegnanti che vanno in burn out per mancanza di formazione”. Ad ogni problema, però, corrisponde un responsabile, o più di uno. In questo caso, dove sono le falle? “Non voglio assolvere la categoria di cui faccio parte”, spiega Pietro, “ma credo che il problema sia soprattutto di sistema; la scuola è centrale in tutte le dichiarazioni ma all’atto pratico non lo diventa”. Ne è un esempio la digitalizzazione su cui “si sono investiti migliaia di euro ma agli insegnanti non è mai stato fatto un corso serio sull’utilizzo didattico di questi strumenti”. Stesso discorso per la didattica laboratoriale: “tutti ne parlano ma il sistema non è organizzato per realizzarla”. Alle mancanze dei vertici, poi, si sommano le storture provocate “da un eccesso di garantismo che non garantisce più nessuno, mentre servirebbe di mettere in campo un sistema di valutazione delle competenze del docente e di come queste vengono spese nel sistema scuola”.

Pandemia, didattica e arte di arrangiarsi

Tutti nodi che sono venuti al pettine in modo eclatante durante la pandemia. “Eravamo totalmente impreparati”, ammette Gentile, “inutile negarlo; c’erano persone che non avrebbero mai immaginato di dover fare lezione davanti ad un PC”. Nell’emergenza, però, sono usciti fuori anticorpi robusti. “In pochissimo tempo”, sottolinea, “le scuole sono state capaci di attrezzarsi, e personalmente non ci avrei scommesso un euro”. La Melissa bassi, ad esempio, fornendo tablet in comodato d’uso e connessioni, è riuscita a raggiungere quasi tutti i suoi alunni, in un territorio in cui il digital divide, nella sua accezione più ampia, è tangibile. Aver evitato il disastro, però, non cancella le carenze profonde, che sono ancora tutte lì, sul fondale lasciato dietro di sé dalla tempesta. “Ce la siamo cavata, ma l’arte di arrangiarsi non può diventare sistema”.

A scuola di futuro

È la progettazione di lungo periodo, invece, il vero strumento di cambiamento su cui lavorare. Anzi, la co-progettazione, cioè un metodo che mette insieme diverse professionalità e competenze per far crescere l’innovazione dal basso, in modo da renderla più utile e solida. Ed è proprio questo il modello che si è scelto di seguire con il progetto Cresco, per ridisegnare gli spazi esterni dell’Istituto di via dell’Archeologia. “Una mera ristrutturazione la può fare qualunque architetto”, sostiene il maestro Gentile, “ma rimarrebbe un intervento fine a sé stesso, senza ricadute concrete; con la Fondazione, invece, si è scelto di fare delle cose insieme”. Dietro, quindi, ci sono una visione e una chiara proiezione verso il futuro. Le aule tematiche all’aperto e il giardino con i giochi montessoriani non sono un vezzo di modernizzazione ma esprimono una chiara scelta didattica e puntano a un obiettivo preciso. “Gli spazi saranno a disposizione della scuola e del quartiere ma l’idea è che diventino dei poli di attrazione di esperienze di altre realtà italiane che hanno a che fare con i temi che ogni singola aula attiva, quindi scienza, musica, lettere e via dicendo; a partire da questo incontro vorremmo poi costruire dei quaderni di lavoro”. Una sfida ambiziosa ma possibile. “Qui le energie ci sono e sono pronte a decollare; se riusciamo a essere il collettore intorno a un’idea di ripensamento della scuola, creiamo uno spazio dove le cose che si sono dette e scritte si possono fare davvero”. Ciò che serve sono coraggio e voglia di mettersi in discussione guardando avanti. “La scuola”, Pietro ne è convinto, “può vincere questa scommessa se accetta di non avere paura del futuro”.