Sul posto. È questa la traduzione letterale della locuzione latina ‘In situ’, usata in italiano per indicare qualcosa che si trova al proprio posto, quello che gli compete, quello che gli appartiene. E se è vero che ‘nomen omen’ (nel nome c’è il destino, per insistere con i latinismi), allora lo Spazio In Situ, a Tor Bella Monaca, dichiara apertamente di considerarsi nel proprio habitat naturale. Possibile? Uno spazio espositivo di arte contemporanea oltre il GRA? Un collettivo creativo seminascosto in un garage di borgata? Strano, ma evidentemente vero. Ed ecco una possibile nuova freccia all’arco della comunità educante nel Municipio più giovane di Roma. “Noi parliamo della banalità delle nostre vite quotidiane, delle piccole cose importanti, per riportare la gente a capire qual è il mondo reale, in una società fatta di consumismo e immagine; a Tor Bella Monaca penso che siamo nel posto giusto per dare questa visione, anzi ci ispiriamo parecchio a quello che abbiamo nel quartiere”. Parola di Christophe Constantin, mente organizzativa di Spazio In Situ, aperto nel 2016 insieme ad altri cinque amici e colleghi, freschi diplomati della Rome University of Fine Arts. Oggi la struttura conta undici artisti, è divisa tra area espositiva e studi personali e, senza ricevere finanziamenti, viaggia ad una media di sei o sette eventi ogni anno.

Sassi nello stagno

L’esperienza di Spazio In Situ è nata sulla spinta di un bisogno urgente. “Volevamo un luogo dove continuare a produrre e lavorare insieme”, spiega ancora Christophe, passandosi una mano tra i capelli scomposti, “ma anche uno spazio personale per fare ricerca, dove puoi lasciare tutto com’è e nessuno tocca niente, cosa che in Accademia non avevamo”. Un’opportunità del genere, però, a Roma era praticamente inesistente, soprattutto per gli artisti emergenti contemporanei, a cui la capitale oppone ormai da anni un atteggiamento sordo e stagnante. “Io sono nato e cresciuto in Svizzera però mi sento mezzo romano e sono venuto qui alla ricerca di un aggancio con le mie origini, ma non mi rendevo conto del degrado del sistema dell’arte in questa città”. Una palude figlia della pigrizia e del poco coraggio. “Roma si auto-protegge dietro al proprio passato, partendo dal presupposto che è la città della bellezza, ma così non crei niente e non cresci”. In questo stagno apparentemente inviolabile, gli artisti di In Situ hanno provato a gettare più di un sasso. “Siamo stati motori di un cambiamento a Roma”, sostiene Christophe, “abbiamo scardinato certe normative, abbiamo spostato delle regole che non avevano senso di esistere, abbiamo lottato per portare un po’ di freschezza e nuovi pensieri”.

Arte contemporanea a Tor Bella Monaca

Tutto questo partendo da un garage a Tor Bella Monaca e provando anche a cucire un legame con un quartiere così ‘periferico’, in senso strutturale prima ancora che fisico. “Il rapporto è più umano che a livello di mediazione culturale”, spiega l’artista italo-svizzero, “abbiamo provato a far venire gente del quartiere, comunichiamo le nostre mostre, potiamo nei bar gli inviti, però essendo arte contemporanea spesso la gente non si sente integrata in quello che presentiamo”. La proposta artistica di In Situ richiede tempo e abitudine, per arrivare ad elaborare quello che lui definisce “un automatismo di lettura”. Anche perché si tratta di mostre ed installazioni che rompono i classici compartimenti dell’arte, mescolando pittura, scultura, fotografia, produzioni video e qualsiasi cosa possa essere utile alla trasmissione del messaggio, spesso sfruttando oggetti di uso comune. “Nel secondo allestimento che organizzammo, ad esempio, c’erano solo attrezzi da lavoro appesi al muro e una signora entrando ci chiese dove fosse la mostra; la gente non è abituata a vedere la propria quotidianità”.

Educare alle domande

Osservato dall’angolazione che propone Christophe, il lavoro artistico assume una forte valenza educativa. “Per me”, spiega, “l’arte è punto di interrogazione sulla società, è un modo di riflettere non dogmatico; quindi, noi artisti siamo primordiali per porre domande che escono anche dai concetti prestabiliti”. Un approccio problematizzante, che respinge le logiche dei media mainstream, fatti di ‘topic’ a rapido esaurimento e slogan acchiappa-click. “Noi poniamo domande, non vogliamo rispondere, non vogliamo essere né moralizzatori né superiori; noi vogliamo interrogare la gente su problematiche che vediamo”. Un impegno necessario ma non sempre facile, perché “l’arte è un linguaggio, per riuscire a entrarci la gente deve essere pronta a fare un piccolo sforzo”.