Il profilo architettonico di Tor Bella Monaca contribuisce in modo decisivo e inesorabile a costruirne un’immagine monolitica, statica, pesante. Un pachiderma di cemento che tende all’immutabilità. Appena sotto la crosta di asfalto, invece, formicolano una pluralità di esperienze che raccontano una storia molto più vitale e complessa. Persone e associazioni, formali e informali, che plasmano questo pezzo di periferia, o almeno ci provano. C’è chi in zona ci è nato e non se ne è mai davvero allontanato, come Michela Balmas, ex allieva del Istituto di Istruzione Superiore Edoardo Amaldi di Roma, oggi psicologa attiva sul territorio. E c’è anche chi Tor Bella Monaca l’ha incontrata per caso e poi ha scelto di restarci, come Noemi Dicorato, originaria di Assisi, per alcuni anni studentessa universitaria a Bologna, adesso romana di adozione e attivista di Libera Contro le Mafie. Traiettorie diverse che si sono intrecciate nell’impegno contro la povertà educativa e l’abbandono scolastico, all’interno del progetto Periphery Organizing, presso l’Istituto Comprensivo Melissa Bassi di via dell’Archeologia. Un’iniziativa promossa dall’impresa sociale Con i Bambini (della Fondazione CON IL SUD ), insieme a Cco – Crisi Come Opportunita’ e con la collaborazione di InterazioniUrbane.

Dispersione scolastica a Tor Bella Monaca: il problema c’è ma non si misura

Lavorare sulla dispersione scolastica a Tor Bella Monaca, però, è tanto necessario quanto complicato. Il primo problema è l’assenza di dati ufficiali che permettano di comprendere dimensioni e gravità del fenomeno. Quanti sono i bambini che qui abbandonano precocemente la scuola? L’unica parziale risposta, senza fonte, si trova in un disegno di legge del 2018, depositato in Senato, dove si parla di un tasso di abbandono del 15%, sei punti sopra la media di Roma. “È assurdo che non si sappia questa informazione”, sottolinea Noemi, “perché questo impedisce di misurare l’incidenza dei progetti”. Il problema di fondo, secondo le due operatrici, è che non esiste la volontà politica di recuperare il dato, perché questo richiederebbe un impegno a lungo termine. “Misurare la dispersione scolastica significa guardare i ragazzi in modo continuativo per almeno tre anni”, spiegano. La mancanza di dati ufficiali costringe ad affidarsi all’osservazione empirica. “Nelle classi dell’Istituto Melissa Bassi che seguiamo con Periphery Organizing ci sono diversi studenti che hanno abbandonato o che abbiamo il timore che lo faranno presto; il nostro cruccio è proprio capire come poter essere incisivi su questo aspetto”.

Una voglia matta di relazioni

Un dubbio che ha trovato una prima risposta nella costanza e periodicità della presenza. “Il nostro ruolo all’interno di Periphery Organizing”, spiega Michela, “è quello di prevenire la dispersione scolastica lavorando sull’educazione alla partecipazione; per farlo avevamo immaginato un percorso di sette incontri, che oggi sono diventati circa trenta”. Un allungamento figlio di una richiesta ben precisa, implicita ed esplicita, partita dai ragazzi: esserci, starci. “Sono ragazzi che hanno una voglia matta di essere in relazione, ci concedono uno spazio di fiducia e di intimità gratuita che non possiamo deludere; hanno bisogno di essere visti e ascoltati.” D’altra parte, temi e attività per riempire gli incontri non mancano. Durante gli appuntamenti vengono proposti laboratori che esplorano diversi registri comunicativi e portano gli studenti a interrogarsi su temi multiformi come il potere, la crisi, il conflitto, le emozioni, l’identità. “Sono argomenti che li toccano da vicino”, raccontano Noemi e Michela, “su cui hanno voglia di confrontarsi e spesso non sanno con chi farlo”. Ovviamente, essere presenti non esaurisce i problemi. “Anzi, le difficoltà iniziano proprio lì, perché si crea un canale di comunicazione che porta dentro cose gigantesche, anche difficili da arginare nel contesto scolastico”.

Si può (e si deve) fare di più (insieme)

Un dubbio che ha trovato una prima risposta nella costanza e periodicità della presenza. “Il nostro ruolo all’interno di Periphery Organizing”, spiega Michela, “è quello di prevenire la dispersione scolastica lavorando sull’educazione alla partecipazione; per farlo avevamo immaginato un percorso di sette incontri, che oggi sono diventati circa trenta”. Un allungamento figlio di una richiesta ben precisa, implicita ed esplicita, partita dai ragazzi: esserci, starci. “Sono ragazzi che hanno una voglia matta di essere in relazione, ci concedono uno spazio di fiducia e di intimità gratuita che non possiamo deludere; hanno bisogno di essere visti e ascoltati.” D’altra parte, temi e attività per riempire gli incontri non mancano. Durante gli appuntamenti vengono proposti laboratori che esplorano diversi registri comunicativi e portano gli studenti a interrogarsi su temi multiformi come il potere, la crisi, il conflitto, le emozioni, l’identità. “Sono argomenti che li toccano da vicino”, raccontano Noemi e Michela, “su cui hanno voglia di confrontarsi e spesso non sanno con chi farlo”. Ovviamente, essere presenti non esaurisce i problemi. “Anzi, le difficoltà iniziano proprio lì, perché si crea un canale di comunicazione che porta dentro cose gigantesche, anche difficili da arginare nel contesto scolastico”.