È stata una festa allegra e colorata quella che Pianoterra Onlus ha organizzato per inaugurare l’Aula Vicina, presidio per famiglie a Tor Bella Monaca. Un pomeriggio di giochi e presentazioni, culminato in una parata lungo i corridoi del Centro Commerciale Le Torri e in uno spettacolo di artisti di strada. Un modo (efficace) per dire a tutti i genitori della zona: ci siamo! L’Aula Vicina, infatti, si propone come un luogo aperto e multifunzionale, pensato per i nuclei familiari con bambini fino a sei anni. All’interno di questo spazio, promosso all’interno del progetto Tornasole, finanziato dalla Fondazione Paolo Bulgari e dall’impresa sociale Con i Bambini, Pianoterra offre gratuitamente laboratori per genitori e figli, servizio di sportello sociale e incontri con esperti. Soprattutto, però, la Onlus si propone come elemento di collegamento tra i nuclei familiari e i servizi del territorio. “Noi siamo dei mediatori tra le istituzioni e le famiglie”, spiega Claudia Massaro, educatrice. Un lavoro realizzato a stretto contatto con i servizi sociali, ma con la possibilità di muoversi più liberamente e di attivare una pluralità di interventi. “Seguiamo molte famiglie che sono in carico ai servizi sociali”, racconta Pamela Caprioli, psicologa e psicoterapeuta, “e le aiutiamo a realizzare il progetto che è stato pensato per loro”. L’obiettivo finale è garantire a chi chiede aiuto quella rete sociale che spesso è la prima mancanza di cui si soffre nei territori connotati da un forte disagio socioeconomico.

Un villaggio fatto di relazioni

Un antico proverbio africano, infatti, afferma che per educare un bambino serve un intero villaggio. “Ma qui è proprio il villaggio che manca”, sottolinea Claudia, “perché c’è disgregazione sociale; questa è una periferia in cui si incontrano pezzi di altri villaggi arrivati qui per motivi diversi, come le migrazioni e la povertà”. Manca la rete della famiglia di origine e degli amici, quindi, ma manca anche e soprattutto quella dello Stato. “Negli anni, c’è stato un impoverimento dei servizi, come asili nido o consultori; ora c’è il privato sociale che tenta di ricostruire quel villaggio”. Un disagio alimentato anche dalla scarsa disponibilità di luoghi di aggregazione educativi, in cui far giocare e crescere i bambini senza la preoccupazione che entrino in contatto con situazioni spiacevoli. “Molte mamme”, spiega Pamela, “ci raccontano questa difficoltà; il risultato è che scelgono l’isolamento e i bambini vivono letteralmente chiusi in casa”. L’isolamento come fuga dalla realtà e come protezione. Un guscio difensivo che Pianoterra prova a scalfire, puntando tutto sulla possibilità di instaurare con le mamme una relazione non istituzionale, fatta di aiuto, ascolto e accoglienza. “Il lavoro sulle relazioni uno ad uno è lungo e faticoso”, prosegue ancora Pamela, “ma è quello che porta i risultati, anche perché poi le mamme parlano tra loro e attivano il passaparola”. Ed è così che si ricostruiscono reti tra i genitori e si esce anche da quella che Claudia chiama la logica dei servizi ghetto, che finiscono per rinchiudere ancora di più le persone nella gabbia delle proprie difficoltà.

Madri adolescenti e signori bambini

Senza dubbio, però, lavorare sulla genitorialità, e soprattutto sulla maternità, a Tor Bella Monaca, è molto complesso. Nel quartiere, infatti, sono molto diffusi i casi di ragazze che diventano madri presto, poco più che adolescenti, e spesso si ritrovano a crescere i figli da sole. Un fenomeno che Claudia spiega facendo riferimento a dinamiche tipiche delle fasce di persone ad alta problematicità sociale. “In un contesto del genere, diventare madre ti definisce, ti dà un ruolo sociale; la maternità è un atto di potere, che ti permette di ottenere il riconoscimento del tuo uomo e delle altre donne”. Una visione connotata in modo fortemente maschilista e patriarcale, alimentata dall’impossibilità di ritagliarsi un altro posto nel mondo. “Se non ti puoi definire come laureata, come lavoratrice o come altro, allora fare un figlio diventa la tua unica proiezione di vita”. Il risultato sono madri adolescenti che faticano a rapportarsi con i loro bambini in modo consapevole, perché se devi ancora capire chi sei, non puoi prenderti cura di un’altra vita. “A volte assistiamo a delle vere e proprie inversioni di ruoli”, racconta Pamela, “ci sono bambini che sono dei piccoli adulti, si prendono cura delle mamme ma non sanno giocare e non accedono alla fantasia; poi però regrediscono sotto altri aspetti, e allora hai la bambina di sei anni che si ciuccia il dito o il ragazzino che si fa ancora la pipì addosso”.

La comunità educate ha bisogno degli strumenti giusti

Il rapporto con le mamme e con i papà, però, non è l’unico piano di azione di Pianoterra e dell’Aula Vicina. L’ambizione, infatti, è quella di entrare in contatto con tutti i diversi attori della comunità educante, fornendo un supporto diversificato, con al centro sempre e comunque il benessere del bambino. Attraverso il progetto Tornasole, quindi, la Onlus è presente anche all’interno della Scuola Melissa bassi, di via dell’Archeologia, dove Pamela gestisce uno sportello psicologico rivolto ai genitori ma anche agli insegnanti e a tutto il personale scolastico. “Abbiamo un po’ rivisto il concetto di sportello psicologico e lo abbiamo reso diffuso; sono totalmente mobile e faccio colloqui ovunque, davanti alla mensa, nei corridoio, sulla porta delle aule”. L’idea di fondo è quella di tenere insieme il micro con il macro, il particolare con il generale, nella convinzione, condivisa da entrambe, che la comunità educante si realizzi “quando si coopera per una visione educativa con al centro il bambino”. Perciò, il grosso del lavoro va fatto sugli educatori più che sugli educandi. “Spesso si dà per scontato che nella comunità educante ci sia solo l’educativo competente”, spiega Pamela, “ma non è così; il nostro compito è fornire strumenti a tutti coloro che sono coinvolti”.