Negli infiniti e labirintici corridoi dell’ Istituto di Istruzione Superiore Edoardo Amaldi di Roma, Maria Rosaria Autiero si muove con piglio dirigenziale misto a passione educativa: saluta i bidelli, si affaccia nelle aule, scherza con i ragazzi, si confronta con i professori. Probabilmente, è lo stesso atteggiamento vibrante e ironico con cui, nella sua vita professionale da docente, ha attraversato tutti i livelli di istruzione. “Sono stata anche sei mesi all’asilo nido, da precaria”, sottolinea sorridendo. Dal 2014, invece, ha sostituito la cattedra da insegnante di lettere nella scuola secondaria con la scrivania da dirigente scolastico: prima all’istituto Comprensivo Emma Castelnuovo di Ponte di Nona e poi, dal 2017, al Liceo Edoardo Amaldi, a Tor Bella Monaca, considerato un’eccellenza capitolina.
La scuola fa crescere il territorio (e viceversa)
“La mia intenzione”, spiega, “è sempre stata quella di restare in questo quadrante della città e in questo municipio; è un progetto di vita, perché per me la scuola deve incidere e contribuire alla crescita del territorio dal punto di vista culturale”. La periferia come scelta, quindi, e non come accidente. “Queste zone non andrebbero neanche più chiamate periferie ma nuovi centri della città; di Tor Bella monaca si disegnano sempre gli aspetti negativi, mentre ci sono anche molte realtà importanti e tante potenzialità”. Il riferimento esplicito è ad alcuni poli istituzionali, come l’Università di Tor Vergata e l’Agenzia Spaziale Italiana, ma anche al vivace brulicare di realtà associative. “Il problema”, sottolinea Maria Rosaria, “è che parte della popolazione rimane estranea a tutto questo, a causa delle proprie condizioni economiche, sociali e culturali”. Ecco perché l’Amaldi ha sempre cercato di confrontarsi con la vitalità che anima il quartiere, proponendosi come soggetto attivo di promozione culturale. “È quello che viene fatto, ad esempio, con i PCTO, i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, che ci permettono di rafforzare le relazioni con le realtà locali”.
Un patto educativo tra persone di buona volontà
Un fermento che la pandemia ha parzialmente bloccato e che Maria Rosaria punta a rilanciare e a sistematizzare attraverso il Patto Educativo di Comunità, firmato nel giugno 2021 e a cui è stato dato un titolo ambizioso: Scuole in Comune, generiamo il cambiamento. L’accordo coinvolge, oltre all’Amaldi, l’Istituto Comprensivo Melissa Bassi, la Città metropolitana di Roma Capitale, il Municipio Roma VI delle Torri, le due parrocchie di zona e circa venti tra associazioni, enti e realtà varie attive sul territorio. A lanciare l’iniziativa è stata proprio Maria Rosaria, che ha poi invitato Alessandra Scamardella, dirigente della scuola di via dell’Archeologia, che racchiude infanzia, primaria e secondaria di primo grado. “Le ho chiesto di partecipare perché è vicina territorialmente ma soprattutto perché abbiamo una visione condivisa; il patto mette insieme gli ‘uomini di buona volontà’ che operano per la crescita culturale del territorio”. Il fine ultimo dell’accordo è il contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa. “Uno dei momenti più critici è il passaggio dalla terza media alla scuola superiore e purtroppo bisogna dire che tra i nostri alunni, sono pochi quelli che vengono proprio da Tor Bella Monaca, perché il liceo richiede competenze molto elevate”. All’interno del Patto Educativo di Comunità, l’Istituto Amaldi si è costituito come polo culturale di scuola aperta, immaginando di creare un sistema di vasi comunicanti tra le aule e il quartiere. “Vogliamo far vivere la scuola agli studenti anche il pomeriggio e allo stesso tempo immaginare che siano loro a interagire con i cittadini e magari trasmettere le loro conoscenze e competenze ai più piccoli, in un’ottica di educazione peer to peer”. Il fulcro del progetto è l’apertura di alcuni nuovi ambienti didattici: un laboratorio di musica, uno di scienze e matematica, un museo storico artistico (popolato da modellini che raccontano l’archeologia del VI municipio, provenienti dall’eredità del maestro Franco Masciovecchio). Il tutto senza dimenticare la missione pedagogica della scuola: “i soggetti attivi di questa esperienza sono gli studenti, che devono essere coinvolti nell’accoglienza delle persone dall’esterno e promuovere una dimensione culturale dell’incontro”.
Un patto educativo tra persone di buona volontà
Dietro tutto questo lavoro di progettazione, c’è una solida consapevolezza: la scuola deve saper evolversi, pur senza rinunciare al suo mandato istituzionale, soprattutto quando si trova ad occupare posizioni di frontiera. “L’istruzione non è più quella della scuola gentiliana”, afferma Maria Rosaria, “ma deve essere capace di arricchirsi costantemente di competenze; la preparazione non è sapere quando è nato e morto Leopardi, non è questo che conta, ma avere gli strumenti perché questa conoscenza possa riarticolarsi man mano che ci si trova nel mondo dell’università e del lavoro; i ragazzi devono essere preparati a essere soggetti attivi e non passivi nella società”. Un’azione che nei contesti fragili è ancora più urgente e avrebbe bisogno di un forte supporto istituzionale. “Per le scuole di frontiera servirebbe un piano nazionale di cura, e non è solo una questione di risorse economiche, che pure fanno la differenza”. Serve investire, ad esempio, sulle persone e sulla loro formazione, per scongiurare la piaga del turn over. “Qui all’Amaldi il 97% dei docenti è di ruolo e quindi stabile, ma quando ero a Ponte di Nona, la quota arrivava appena al 50%, gli altri andavano e venivano ogni anno; lavorare in certe realtà è una scelta che andrebbe riconosciuta, anche dal punto di vista dello stipendio”. Altro capitolo, quello delle dotazioni infrastrutturali e tecnologiche. “Passato il Covid, ci potrebbe essere la tentazione di cacciare fuori dalla scuola la tecnologia, ma non si deve mai buttare il bambino con l’acqua sporca”. Davvero cruciale, però, è la voglia e la pazienza di innovare, accettando di intraprendere percorsi lunghi. “Sulle sedie a rotelle, ad esempio, è stato costruito uno scandalo che non esiste; noi dirigenti potevamo decidere se chiederle o meno, io le ho volute e vengono utilizzate, perché sono fondamentali per fare un certo tipo di didattica”.