Nessuno oggi può dire quanti siano in Italia oggi gli alunni a rischio di dispersione scolastica. I dati che utilizziamo in questi casi (quelli diffusi da Eurostat, relativi ai giovani 18-24enni con il solo titolo di licenza media e non più in formazione; o quelli resi disponibili dall’anagrafe scolastica del Ministero dell’Istruzione) sono precocemente invecchiati. Non tengono conto né dell’impatto drammatico del covid sul sistema educativo, né della cosiddetta ‘dispersione implicita’ di quegli alunni che finiscono regolarmente il loro corso di studi ma senza quelle competenze minime necessarie per affrontare con successo il futuro nella nuova società della conoscenza. Quello che è certo, tuttavia, è che povertà educativa e dispersione scolastica, comunque le si voglia definire e misurare, sono oggi fenomeni dai contorni davvero preoccupanti, soprattutto nei territori fragili. “Tornasole è un progetto che ha come obiettivo il benessere dei minori e che agisce proprio in un’ottica di prevenzione della povertà educativa e della dispersione scolastica”. A parlare è Gloria Mazzeo, psicoterapeuta di Antropos Onlus, che porta avanti questo percorso nel quadrante sud-est di Roma, con il sostegno della Fondazione Paolo Bulgari e dell’impresa sociale Con i Bambini. “In particolare, a Tor Bella Monaca lavoriamo insieme a Pianoterra Onlus e Cubo Libro; noi siamo presenti nella Scuola Melissa Bassi, con interventi nelle classi e uno sportello di ascolto e orientamento psicologico dedicato ad insegnanti e genitori”.

La scuola al centro della comunità educante

L’idea che sostiene Tornasole è che la comunità educante sia una rete destinata a funzionare bene solo se tutti i tasselli che la compongono collaborano per lo stesso scopo: il benessere dei bambini. Proprio questa integrazione fra figure diverse è il concetto chiave su cui insiste anche Giulia Festa, educatrice in forze allo stesso progetto, sempre per conto di Antropos. “I singoli pezzi della comunità educante vanno valorizzati, che si tratti di insegnanti, genitori o educatori; ognuno deve sentire di essere importante e di poter sfruttare le proprie risorse”. I confini di questa comunità vanno ben oltre i limiti dell’educazione formale, ed è proprio questo che la rende una macchina potente ma anche molto complessa. “Tutte le realtà informali sono importanti”, sottolinea Gloria, “dall’adulto che ha un certo tipo di competenza perché svolge un mestiere particolare a chi porta avanti attività sportive o culturali, solo per fare alcuni esempi; bisogna cercare di far stare tutti dentro la rete, in modo consapevole”. Il centro di tutto, però, rimane la scuola, dove anche Antropos ha scelto di operare, sperimentando modalità nuove e assolutamente non invasive.

Una nuova alleanza tra educazione e didattica

“Il nostro obiettivo”, prosegue Gloria, “è promuovere un’alleanza tra mondo educativo e didattico; a scuola entriamo in punta di piedi, senza soluzioni preimpostate, ma mettendo i nostri strumenti a servizio dei docenti e delle esigenze del gruppo”. Un metodo incentrato sull’ascolto, come racconta Giulia, che è una delle educatrici operative nelle aule. “Spesso è la scuola a segnalarci le classi che hanno bisogno del nostro supporto; la prima fase dell’intervento è un’osservazione silenziosa, che ci consente di capire punti di forza e di debolezza; poi ci prendiamo un momento di confronto con le insegnanti, per condividere le nostre osservazioni e fissare obiettivi e modalità della nostra presenza”. L’attività di coprogettazione con la dirigenza scolastica e con i singoli docenti è un tassello fondamentale del percorso: è fondamentale per accordare obiettivi, strumenti, programmi, e per superare resistenze ed eventuali diffidenze. “Spesso il primo impatto è difficile, perché veniamo visti come intrusi, ma in realtà noi non vogliamo essere di ostacolo all’intervento didattico, ma di supporto e di integrazione, in veste creativa e ludica; vogliamo aiutare a veicolare una visione diversa della scuola, non come una costrizione ma come un’opportunità di imparare anche attraverso momenti divertenti”.

Innovare la pedagogia per riaccendere la motivazione

Ciò che conta è il risultato finale: restituire ai ragazzi una motivazione, riaccendere in loro la scintilla del piacere di stare a scuola. “I problemi si creano quando manca la partecipazione attiva”, sottolinea Gloria, “e questo può avvenire per vari motivi; in quartieri come Tor Bella Monaca pesano la mancanza di stimoli e diversi fattori ambientali, sociali e familiari”. E secondo Giulia, anche l’eterogeneità cultuale degli alunni deve essere tenuta in considerazione, “perché fattori come la lingua o la mancata comprensione di alcuni argomenti trattati a scuola possono causare una presenza passiva”. Per rispondere a queste sfide cruciali, però, la scuola deve sapersi evolvere e reinventare, almeno in parte, accogliendo gli stimoli della pedagogia innovativa. Su questo fronte, lo sguardo delle operatrici di Antropos è (cautamente) ottimista, soprattutto nei confronti degli insegnanti. “I docenti vogliono innovare la pedagogia, ma è la struttura che si trascina in una tradizione che non risponde più alle esigenze di oggi; il singolo ha la spinta ma si interfaccia con un sistema molto più costretto”.