Autore Fabio Martini
Marsilio Editore 2021
A cento anni dalla scomparsa di Ernesto Nathan dobbiamo riconoscere che del «migliore sindaco di Roma», iperboli a parte, continuiamo a sapere molto poco. E quel poco si riferisce perlopiù a ciò che Nathan non è stato. Non era nato a Roma. Non era iscritto ad alcun partito. E pare non fosse nemmeno particolarmente comunicativo, con il suo accento ‘esotico’, privo delle «veneri dello stile e dell’espressione».
Ad aiutarci a capire che cosa ha fatto per Roma quest’uomo alto, schivo, imperturbabile, che le foto dell’epoca ritraggono con tuba nera e occhiali pince-nez, arriva ora una nuova biografia firmata dal giornalista Fabio Martini (Marsilio, 18 euro). Un lavoro molto ben scritto e documentato che vuole sottrarre il personaggio alla leggenda per restituirlo al dibattito sul futuro della città, magari come «modello attuale e attualizzabile per i possibili epigoni». Perché, come ricorda Martini, finora è «sempre stato più agevole elogiare Ernesto Nathan che imitarlo».
Tra i tanti fili che tessono la ricerca – la competizione contro i monopoli privati, il braccio di ferro con la burocrazia, l’attenzione legalitaria, l’approvazione del nuovo piano regolatore, la passeggiata archeologica, eccetera – proviamo a seguirne qui uno che ci aiuta a comprendere tutta l’attualità e lo spessore del personaggio. Quando il 2 dicembre 1907, all’età di sessantadue anni, Nathan sale sullo scranno del Campidoglio per il discorso programmatico, si presenta al consiglio come ‘insegnante e pubblicista’ e mette al primo posto della sua agenda l’impegno per l’istruzione. «Una questione che soverchia tutte le altre», afferma proprio all’inizio del magnifico intervento: «Il bilancio, il suo pareggio sono la legittima preoccupazione di ogni prudente amministratore; ma sino a quando vi sia un solo scolaro entro la nostra cerchia amministrativa, il quale non possa ricevere l’istruzione e l’educazione civile, in ambiente sano ed adatto, le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale ed intellettuale. Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico». Parole che andrebbero scolpite nel marmo.
Ma facciamo un passo indietro. Nathan non ha studiato da insegnante, è educatore dentro. Cresciuto a Londra, in una famiglia impregnata di ideali mazziniani (la madre patriota, Sara Levi detta Sarina, è la principale finanziatrice delle imprese di Mazzini), da giovane si è cimentato senza particolare successo nell’amministrazione di un cotonificio. Alla morte di Mazzini (1872) si scaglia contro la proposta di erigere una statua in suo onore («lui sarebbe il primo a protestare contro la sterile monumentomania che ha invaso le nostre anime») e con lo stesso denaro propone di realizzare «un trionfo morale», ovvero un istituto popolare che preveda scuole serali, biblioteca circolante, sala di lettura. Detto fatto: l’anno seguente la madre apre a sue spese la scuola elementare femminile Giuseppe Mazzini a Trastevere, sull’esempio di quanto aveva fatto Mazzini ad Hatton Garden (1841). Una scuola privata, quindi, sebbene allineata ai programmi ministeriali, gratuita e diurna, destinata a cambiare pelle nel corso dei decenni (nel 1890 diventa un professionale), le cui alterne vicende Nathan seguirà con dedizione per quarant’anni, dalla scomparsa della madre (1882) fino alla morte (1921). Qui, nell’esercizio quotidiano di amministratore, Nathan cerca di mettere in pratica, con umiltà e pragmatismo, i dettami del suo maestro: la fede nell’istruzione gratuita e laica come strumento di emancipazione; l’afflato etico del ‘dovere’ quale «principio educatore superiore»; la convinzione che lo scopo della vita «non è quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori», «combattendo l’ingiustizia e l’errore». Ed è proprio qui, all’interno della scuola Mazzini, che Nathan muove i primi passi da insegnante di morale. «E insegnando ho imparato: imparato soprattutto quanto è difficile, pur avendo fede e cognizioni, comunicarle ad altri, soprattutto a mente vergini, in guisa che siano compresi e assimilati».
C’è tutto questo nel bagaglio che nel 1907 Nathan porta con sé in Campidoglio, e che ne motiva l’impegno per il rafforzamento delle politiche educative nei suoi sei anni da sindaco. Appena insediato, in accordo con il ministero della Pubblica Istruzione, commissiona un rapporto sullo stato delle scuole a Roma che evidenzia l’insufficienza di spazi e lo stato pietoso di strutture e attrezzature (ad es. la presenza di «banchi tortura preadamitici con 4 e più posti»). A Roma, nell’anno scolastico 1906-1907, l’istruzione elementare è ancora in larga parte appannaggio degli istituti religiosi e le scuole elementari comunali sono in tutto 27. «Nei sei anni di amministrazione Nathan, l’istruzione pubblica è pertanto investita da una potente carica realizzativa e creativa – scrive Fabio Martini – Con un’azione che si svilupperà secondo un principio operativo che non verrà mai enunciato. Ma è lo stesso che in quegli stessi anni valse per beni assai materiali come luce gas e tram: migliorando i propri standard, i servizi pubblici entrano in concorrenza con i privati, per fare meglio di loro e per farli arretrare». Tra il 1907 e il 1913 l’amministrazione Nathan (assessore all’«Istruzione elementare e scuole facoltative» il repubblicano Gustavo Canti, professore di lettere e preside) ridisegna bilancio e qualità della spesa: diminuisce l’investimento per la sicurezza e per i culti e triplica l’incidenza di quello per la scuola. Le somme per l’istruzione salgono da 5 a 13 milioni, quelle per la refezione da 60 a 300 mila lire. L’impegno del Comune per il rilancio dell’istruzione pubblica beneficia anche del sostegno dello Stato: Giolitti stanzia 55 milioni per l’istituzione del demanio municipale e per l’edilizia scolastica. Nell’arco di appena sei anni a Roma vengono costruiti 10 nuovi edifici scolastici, due in più degli 8 realizzati nei 37 anni precedenti. Cresce il numero delle classi (da 894 a 1122), triplicano le sezioni (da 50 a 154), si moltiplicano i giardini dell’infanzia.
Ma in gioco non c’è solo l’hardware. Nathan segue da vicino e aiuta anche le innovazioni pedagogiche del tempo. Sotto la sua amministrazione, il Comune sostiene l’esperienza delle scuole rurali promossa ai primi del Novecento nell’Agro Romano dall’igienista Angelo Celli, da sua moglie Anna Fraentzel, e da un manipolo di intellettuali che non hanno paura di sporcarsi le mani: affidate a maestri rurali e medici, nascono nuove delegazioni a Fiumicino, Isola Farnese, Torre del Padiglione, San Vittorino; oltre alla didattica tradizionale, si propongono lezioni di agraria, pratiche di igiene antimalarica, educazione civile e morale. «Germogli di civiltà nella terra deserta», scriverà Cardarelli.
L’intervento di Nathan è inoltre decisivo per salvare la sperimentazione nel campo dell’educazione precoce avviata da Maria Montessori nel quartiere popolare di San Lorenzo fresco di costruzione. Dopo il ritiro di Edoardo Talamo (1910), illuminato direttore dell’Istituto romano dei beni stabili, i dissidi con l’ente gestore rischiano di mandare in fumo il progetto: da un giorno all’altro alla Montessori è fatto divieto di mettere piede nei suoi asili, non ha più bambini da osservare e da aiutare. «Può trasformarsi in uno stop esiziale per le Case dei bambini. Le porte le apre allora il Comune guidato da Ernesto Nathan, personalmente interessato a questa novità pedagogica. L’ottobre del 1910 si inaugura una classe Montessori in via Sant’Angelo in Pescheria nel ghetto; nel 1911 se ne apre una al Pincio e una presso l’elementare Adelaide Cairoli. Al sindaco il metodo piace ma scarseggiano gli insegnanti capaci di portare avanti la didattica. Nathan chiede a Maria di svolgere un corso di quattro mesi proprio per le maestre e lei accetta. Ne tiene uno del 1910 e un secondo nel 1911». Nathan è costretto a intervenire personalmente in sua difesa anche due anni dopo: a chi in consiglio comunale ne attacca il metodo, bollandolo come inefficace e dispendioso, risponde rivendicando ‘i risultati di estrema importanza’. I finanziamenti sono approvati con 42 voti a favore e 17 contrari. «Sarebbe un impossibile esercizio di storia controfattuale immaginare cosa sarebbe accaduto se al Comune di Roma nessuno avesse risposto – scrive Martini – Ma di sicuro è anche grazie all’incoraggiamento di Ernesto Nathan che il metodo pedagogico di Maria Montessori potrà svilupparsi e ispirare migliaia di scuole in tutto il mondo. Lasciando una traccia nella vita di milioni di persone».
Quando Natanne (come lo chiamano i romani) muore, il 9 aprile 1921, alla cerimonia di commiato interviene Benedetto Croce, al tempo ministro della Pubblica istruzione. Poi viene gradualmente dimenticato: una delle peggiori giunte del dopoguerra gli dedicherà una strada anonima alla Magliana, quartiere edificato sotto il livello del Tevere «che più di ogni altro contraddice il senso di una vita spesa nel regolare lo strapotere dei privati e nel rispetto della legge». A livello cittadino l’impegno nei confronti dell’istruzione e dell’infanzia sarà ripreso solo dalle prime giunte di centro-sinistra alla metà degli anni Settanta, con l’estensione della rete degli asili e la costruzione del sistema di biblioteche comunali. Cent’anni dopo il quadro dell’offerta scolastica pubblica è radicalmente mutato, ma restano seri problemi (aggravati dagli effetti della pandemia) soprattutto nelle periferie informi cresciute nel secondo dopoguerra: edilizia scolastica che cade a pezzi; strutture prive di agibilità o mai completate; liste d’attesa infinite per gli asili e le scuole d’infanzia comunali; penuria di centri giovanili; straordinari progetti educativi abbandonati al loro destino. Le parole di questo sindaco insegnante, insieme idealista e pragmatico, che invitava a mettere al centro del governo della città «un principio educativo superiore», sono ancora vive e soffiano nel vento: «Il bilancio, il suo pareggio sono la legittima preoccupazione di ogni prudente amministratore; ma sino a quando vi sia un solo scolaro entro la nostra cerchia amministrativa, il quale non possa ricevere l’istruzione e l’educazione civile, in ambiente sano ed adatto, le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale ed intellettuale. Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico».
Articolo per Roma Ricerca Roma