A un mese dalla ri-riapertura della scuola, la situazione della principale istituzione educativa del Paese si preannuncia nuovamente critica, pericolosamente esposta ai marosi della seconda ondata di Covid. Mentre in tutta Italia cresce a macchia di leopardo il numero di classi costrette a entrare in quarantena, la decisione della Regione Campania di sospendere le lezioni (in presenza) fino al 30 ottobre negli istituti primari e secondari rischia di lanciare un segnale sinistro, da «tana libera tutti». La scuola in fondo si può chiudere, che si torni presto alla DAD.

La situazione è indubbiamente seria e richiede risposte adeguate. In 15 regioni e in 2 province autonome l’indice di trasmissibilità ha superato la fatidica soglia di 1. Preoccupa anche il fatto di non avere dati affidabili sui tassi reali di contagio nelle scuole. L’ultima comunicazione del Ministero dell’Istruzione riferisce di 5.793 studenti contagiati al 10 ottobre (0,080%), di 1.020 casi di positività tra gli insegnanti (0,133%) e 283 tra il personale non docente (0,139%). Ma i dati del MIUR lasciano il tempo che trovano: 1) sono pubblicati solo in forma aggregata, a livello nazionale: non forniscono alcuna indicazione sulla diffusione territoriale del fenomeno (e quindi non permettono di capire dove eventualmente adottare apposite misure di contenimento). 2) La loro diffusione non è tempestiva: i dati del 10 ottobre sono stati comunicati solo il 15, ben 45.000 casi di acclarata positività dopo. 3) La comunicazione dei numeri (assoluti) è così poco accurata da renderli quasi inservibili: non ci viene detto quante scuole hanno risposto al questionario, né il numero di tamponi eseguiti. E, come sappiamo, guardare al numero assoluto dei positivi senza vedere quante persone sono state testate significa fornire informazioni incomplete. Eppure poter fare affidamento su dati accurati, tempestivi e discreti, sarebbe davvero fondamentale in questa fase, come osserva giustamente il quotidiano Domani: «Avere dati più precisi non serve a far chiudere la scuola più in fretta, come ha fatto De Luca in Campania. Decine di studi scientifici dimostrano quali sono gli effetti di queste misure sul grado di apprendimento degli studenti… Ma per tenerle aperte il più a lungo possibile serve tenere sotto controllo il contagio e per farlo è necessario avere i dati migliori possibili, così da agire in maniera chirurgica e soltanto dove ce n’è bisogno».

Ad aumentare la confusione sotto il cielo (e la frustrazione di quanti in questi mesi si sono fatti in quattro per riaprire le aule agli studenti), è la constatazione che il problema non nasce all’interno della scuola, ma lungo la strada per raggiungerla, ovvero nelle gravi lacune del trasporto pubblico di tante città italiane: «a scuola i ragazzi sono sicuri, ne siamo convinti», ribadisce oggi su Repubblica Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico del Governo. «Per alleggerire la pressione sui mezzi pubblici non dobbiamo togliere studenti dalle classi e mandarli alle lezioni da casa, ma aumentare il servizio di trasporto». E invece le tabelle sui flussi da lavoro preparate dai tecnici del Comitato Scientifico per permettere a chi di dovere di costruire orari compatibili e scaglionare gli ingressi (in fabbrica, a scuola, nella pubblica amministrazione), evitando incroci e affollamenti, sono rimaste lettera morta. «Mi chiedo per quale ragione nessun mobility manager delle grandi città le ha prese in considerazione», anche se il problema era noto da mesi.

Davanti alla recrudescenza del Covid e ai primi, preoccupanti, segnali di cedimento del sistema scolastico si aprono ora tre scenari: il primo, il più probabile, vede una rapida riorganizzazione degli orari e dei corsi nella direzione di una maggiore alternanza tra scuola in presenza e scuola a distanza, anche per le primarie e le secondarie di primo grado.

Il secondo, indicato con virulenza retorica da Damiano er Faina, influencer di un certo calibro a Roma est, sostiene che «dunque siamo ggiunti a quello che era precedentemente auspicabbile… chiudere le scole che tanto tratteno i ggiovani come le bestie». (Il suo post ha ottenuto 150 mila like).

Il terzo viene prospettato da Emiliano Sbaraglia, scrittore e insegnante in forza alla Melissa Bassi di Roma, istituto comprensivo di Tor Bella Monaca: «Alla confusione generale che si respira, noi adulti siamo chiamati a dare delle risposte. E allora perché non provare con una proposta che disegni nuovi scenari, che spiazzi gli studenti stessi, al limite della provocazione? Proviamo a dire che se c’è bisogno di tornare alla chiusura di luoghi e spazi, l’ultima a chiudere sarà proprio la scuola. Anzi, la scuola non la chiudiamo proprio, a parte quelle classi in cui non si certifichino casi di positività, per le quali verrà applicato il protocollo sanitario previsto. Si potrà ritornare alla sospensione di altre attività arrivando, solo per un paio di settimane, anche a un secondo lockdown, ma le scuole restano comunque aperte. Anzi, a parte i cosiddetti servizi essenziali, teniamo aperte solo le scuole. Proviamo a immaginare. Per due settimane la mattina i mezzi di trasporto saranno un servizio dedicato solo a chi deve recarsi a scuola, per gli altri automobile, per chi può smart working ogni giorno; inoltre, in questo modo, molti genitori sarebbero in grado di seguire meglio i propri figli in un momento ancora delicato, anche da un punto di vista psicologico… Chissà, potremmo trovarci di fronte alla sorpresa di calcolare qualche contagio in meno e qualche lezione in più, riuscendo così anche a recuperare parte di quella didattica non svolta tra marzo e giugno. Una provocazione, appunto, ai limiti dell’utopia. Sarebbe curioso vedere l’effetto che fa.»

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