“Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico; non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. La citazione è una delle più conosciute (e bistrattate) di Gianni Rodari, e può sembrare strano trovarla come incipit di una chiacchierata, nel nuovo giardino della scuola Melissa Bassi a Tor Bella Monaca, con Ersilia Vaudo, astrofisica che da 30 anni lavora ai massimi livelli all’Agenzia spaziale europea. Che c’entrano, infatti, l’italiano con lo studio della fisica e del cielo? Forse niente, forse molto. Di certo, però, se al posto di “parola” ci si mette “matematica” e al posto degli “artisti” vengono nominati gli “ingegneri”, la frase racconta bene il modo con cui Vaudo ha scelto di mettere le proprie conoscenze e competenze al servizio della divulgazione matematica e scientifica per i giovani. A partire dalla constatazione che, in Italia, i numeri hanno avuto sempre meno fortuna delle lettere.

Professoressa Vaudo, perché pur vantando nomi illustri nel mondo della fisica, della matematica e delle scienze, l’Italia si percepisce prevalentemente come un paese di umanisti?

Secondo me abbiamo un’impostazione culturale che viene da lontano. Siamo legati a un metodo educativo che ha ormai cento anni, il metodo Gentile, molto basato sull’umanesimo, a differenza, ad esempio, della Francia, dove la matematica ha sempre avuto un valore simbolico altissimo. In Italia, una persona su tre dice di non capire niente di matematica, ed il dato più alto tra tutti i paesi OCSE. È un problema, perché chi si sente inadeguato in matematica è più propenso a delegare i ragionamenti complessi, a diffidare degli esperti, a irridere la scienza. La tenuta stessa della democrazia ha bisogno di una consapevolezza e di un’appartenenza del linguaggio della matematica. C’è un cambiamento da fare, a cominciare dalla famiglia, dove spesso la matematica è guardata con diffidenza e considerata come una cosa da secchioni.

 Quella per l’innalzamento delle competenze matematiche è anche una battaglia che ha a che fare con i temi delle discriminazioni di genere e del disagio socioeconomico?

Sì, certo. Nei test PISA dell’OCSE, l’Italia ha un record negativo: è il paese con il più grande divario di genere in competenze matematiche tra gli adolescenti. La questione delle materie STEM ne è la conferma. Se guardiamo alla S, cioè le scienze, queste includono facoltà universitarie, come medicina e biologia, in cui ormai si laureano molte più ragazze che ragazzi. Dove invece c’è una diffusa e sistematica mancanza è soprattutto in ingegneria, matematica, fisica e digitale. C’è uno stereotipo che spiega questo fenomeno dicendo che le ragazze sono più interessate alle persone e i ragazzi alle cose. Ma è un pregiudizio. La mia lettura è che le materie TEM sono quelle a più grande intensità di matematica e le bambine restano fuori dalla matematica molto molto presto. Inoltre, questo divario nelle competenze in matematica riflette anche le disuguaglianze sull’asse geografico e su quello socioeconomico. C’è un dato drammaticamente trasversale a tutti i paesi OCSE: chi viene da disagio rimarrà sempre fuori dalle scienze e dalla matematica. È una sorta di determinismo sociale: il punto di partenza determina tutte le traiettorie future. Ecco perché l’inclusione di tutti nella matematica è fondamentale per innescare una vera rivoluzione.

Il tema dell’inclusione delle diversità le sta molto a cuore. Non a caso, per l’ESA – European Space Agency, lei ricopre il ruolo di Chief Diversity Officer. Di che impegno si tratta?

L’ESA conosce da 50 anni il valore della diversità, perché è solo mettendo insieme competenze e prospettive diverse che riusciamo a fare cose che nessun paese da solo potrebbe fare, come atterrare su una cometa a cinquecento milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Ci si è resi conto, però, che quello che mancava nell’ambito spaziale era un incremento della presenza di ragazze e un lavoro di inclusione rispetto alla disabilità. Per questo si è voluto creare un ufficio specifico. E i risultati stanno arrivando. Nell’ultima selezione di astronauti, ad esempio, le domande di donne sono passate da 1 su 6 a 1 su 4, ed è stato scelto un gruppo bilanciato dal punto di vista del genere. Inoltre, siamo i primi al mondo ad aver aperto una selezione di astronauti con disabilità.

Torniamo all’insegnamento della matematica. Oltre alle conoscenze specifiche, quali abilità e capacità consente di sviluppare?

La pratica delle materie matematiche dà un senso di empowerment. Il mondo della matematica è rassicurante quando lo si frequenta e dà un grosso senso di fiducia in se stessi. Nell’ambito de Il Cielo Itinerante, in collaborazione con Ipsos, abbiamo cercato di misurare cosa restava ai bambini che partecipavano alle attività e abbiamo sottoposto dei questionari iniziali e finali. I risultati sono stati molto interessanti. Ad esempio, nei questionari iniziali molti bambini hanno detto che la matematica “la odiano” ma allo stesso tempo che gli piacerebbe moltissimo essere bravi con i numeri. Questo perché i bambini si rendono conto del valore di sentirsi a loro agio in quel mondo.

Ha nominato il Cielo Itinerante. Di che si tratta?

È un’associazione che ho fondato con Alessia Mosca e Giovanna dell’Erba circa tre anni fa. L’idea è nata da due ispirazioni. Da una parte, il nostro credere nel valore di quella voglia di futuro che si genera quando si gioca con la scienza. È il potere trasformativo insito nel desiderare qualcosa per sé stessi, che può passare anche dall’osservazione del cielo e dallo sporcarsi le mani con la scienza. L’altra ispirazione è stato l’incontro con un’astrofisica del Kenya che con suo marito, nel fine settimana, ha scelto di portare il telescopio nei villaggi del suo paese per farlo sperimentare ai bambini. Ci siamo dette che volevamo provare a farlo anche noi, lavorando con il terzo settore, per portare il cielo dove non arriva. E siccome ci teniamo a essere scientifici, scegliamo i luoghi in base alla mappatura Invalsi dei risultati in matematica: dove c’è povertà educativa e abbandono scolastico, noi andiamo.

Dal Cielo Itinerante è nata anche Operazione Cielo, un campus estivo gratuito dedicato alla matematica che coinvolge anche i bambini delle scuole Melissa Bassi e Francesca Morvillo a Tor Bella Monaca

Sì, Operazione cielo è un ulteriore esperimento. Abbiamo fatto un’analisi di quali fossero i metodi di insegnamento della matematica più efficaci al mondo e abbiamo trovato questa soluzione elaborata a Stanford. È un metodo molto efficace, che, secondo le analisi di impatto, in quattro settimane permette di fare progressi per i quali, con i metodi convenzionali, si impiegano in media due anni e mezzo. Così abbiamo deciso di fare una cosa che ha una doppia valenza. Da una parte, abbiamo scelto sei luoghi di disagio in cui organizzare dei campus matematici per ragazzi: quattro a Napoli, uno a Milano e uno a Roma, proprio a Tor Bella Monaca. Poi abbiamo selezionato una trentina di studenti universitari che sono stati formati direttamente dalle professoresse di Stanford su questo metodo di insegnamento. Perché ci siamo mossi in questo modo? Per creare delle persone di riferimento di prossimità, visto che i bambini hanno bisogno di identificarsi con chi ha dieci anni più di loro, non cinquanta. Il risultato è duplice. I ragazzi acquistano una formazione Stanford di alto livello e soft skill che non sempre l’università ti dà. I bambini è l’occasione di avvicinarsi alla matematica in modo totalmente diverso.


Il summer camp ideato e realizzato da Il Cielo Itinerante in queste settimane nell’Aula Giardino della scuola Melissa Bassi in via dell’Archeologia, fa parte di “Operazione Cielo”, iniziativa che si propone di sperimentare a Napoli, Milano e Roma, un metodo altamente innovativo di insegnamento della matematica, il metodo Youcubed, messo a punto da Jo Boaler, Professor of Mathematics Education alla Stanford Graduate School of Education. Al cuore dell’approccio Youcubed, una relazione con la matematica fortemente esperienziale – funi, cubi e forbici sostituiscono carta e penna – che valorizza la cooperazione e l’ascolto, riuscendo progressivamente a ribaltare convinzioni radicate, come quella di “non essere portati” o di sentirsi inadeguati rispetto a ragionamenti complessi, per alimentare in ogni bambino una più grande fiducia nelle proprie capacità e una nuova percezione di sé. ll summer camp di Roma è supportato da Fondazione Cdp, main partner dell’iniziativa, e da Fondazione Paolo Bulgari, ed è implementato sul campo in collaborazione con Dopolavoro Matematico, la Cooperativa sociale Antropos e l’associazione culturale Cubo Libro. Il camp di Tor Bella Monaca coinvolge circa 35 bambini, 5 trainer e 5 educatori.

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